Libri. “La teca di cristallo” di Notarangelo: versi liberi tra haiku e Ungaretti

A Oriente
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La teca di cristallo (ed. Tabula fati, 2015, pp. 89) è l’opera poetica di esordio di Giulia Notarangelo, barese, docente di lettere nella scuola media e assidua frequentatrice dei lunedì letterari dei “poeti della Vallisa”. La silloge, costituita da liriche brevi in versi liberi (che rimandano all’haiku e al primo Ungaretti) è divisa in tre parti: Divagazioni, La mia vita, i miei luoghi, Familiares. Nella prima parte la poetessa comincia quasi in sordina, rimarcando il suo bisogno di amicizia, di empatia, di cordialità non solo con altri esseri umani, ma anche con le forze vive della natura, siano esse il mare o le foglie “dondolanti al vento”, che al suo “sguardo di nuvole verdi” appaiono come “ballerine fugaci”. Un amore inaspettato suggella questa prima parte: “Un bacio fugge / tra i binari / ed io indifesa /davanti / a mille / perché”. Nella seconda parte ci sono i momenti di vita vissuta, che la poetessa ferma sulla carta e vuole preservare, per l’appunto come in una teca di cristallo, dal correre del tempo e/o dal “cemento che avanza”: i gabbiani colti “in attesa dell’attacco” “in un giorno di nebbia leggera”; l’ulivo “con gli arti / spezzati / tesi / al pallido / sole” e inutilmente supplice; la giovinezza perduta (“dov’è / quel piccolo lido / bianco e azzurro / che mi ha visto bambina / in braccio al babbo?”) e gli anni di insegnamento (“dove sono / quel vigile compiacente /  quelle scritte sui muri / (..) / E quel carretto /della frutta / che scandiva / la ricreazione / col suo richiamo?”). Nella terza parte, è il sentimento della nostalgia a prendere il sopravvento con una certa delicatezza di accenti nel ricordare il padre o altri cari estinti. Come ci ricorda Marcello Veneziani, è dalla nostalgia che si originano la poesia e la filosofia: “La poesia è la dimora della nostalgia, intima e cosmica; la poesia sorge sull’amore perduto o caduco, sul presagio doloroso di una mancanza, passata, presente o ventura.” Così nella poesia In bianco e nero la poetessa guardando una foto del padre, giovane tenente in sahariana sotto una palma libica, si domanda: “Cosa / guardavi / a chi sorridevi / sotto il tetto assolato / del deserto?” La risposta, per dirla con Bob Dylan, soffia nel vento…

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Sandro Marano

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