La Le Pen ha accusato l’Alteo di Gardanne di sversare fanghi rossi e di essersi bellamente beffata delle normative a tutela dell’ambiente. S’è presentata in fabbrica ma lì non c’era nessuno e perciò non è riuscita ad entrare. Tuttavia ha avuto l’opportunità di spiegare a tutti come la questione ecologica non può che essere in cima all’agenda sovranista.
Secondo molti osservatori, infatti, il blitz di Marine rappresenterebbe un’apertura alle sensibilità ambientaliste. Un tentativo per accaparrarsi qualche voterello nell’ultima (e decisiva) settimana per il voto presidenziale. In realtà non è così. Perché la Le Pen ha spiegato la sua posizione: “Occorre risolvere il problema del fango rosso, uno Stato con una strategia può agire mano nella mano con i privati sia per la tutela del lavoro che per accelerare il tempo necessario a proteggere i nostri connazionali dal rischio ambientale”. E quindi: “In sei o sette anni, io credo che lo Stato che sappia pianificare può ottenere una riduzione di questi ritardi altrimenti gli scandali sanitari legali alla globalizzazione selvaggia di moltiplicheranno”.
Nelle dichiarazioni di Marine Le Pen c’è una visione coerente, più che un tentativo di accattivarsi le simpatie di un elettorato comunque lontano dal Front National. Senza difesa dell’ambiente, non c’è rispetto per la propria terra. E, quindi, non può esserci alcun sovranismo credibile se non ci si batte per questa. Non si possono tollerare, nel nome di una competitività eternamente al ribasso, compromessi che buttano sempre più giù l’asticella degli standard. Così come nel nome della stessa competività globalizzata, non si possono continuare a tollerare deflagrazioni (ulteriori) nel già traballante mondo del lavoro. È lo stesso identico approccio, declinato su più piani, di un’idea che mira a scardinare lo status quo.
