Roma-Lazio. Totti è Re senza corona e senza scorta

Totti ottavo re (Gazzetta)
Totti ottavo re (Gazzetta)

Tre a uno, disfatta assoluta e sollevamenti popolari. Re Totti, incoronato ottavo Re di Roma proprio prima del derby – con tanto di scarpe ambrate per suggellare i venticinque anni di fedeltà – osserva gran parte della débâcle della sua legione esiliato su una lussuosa panchina. Che sarà pure pacchiana, opulenta e celebrativa, ma sempre panchina è. E non trono. Il vecchio generale e timoniere Spalletti lo sa bene, l’ha sempre saputo, soprattutto in questa stagione, che l’avrebbe relegato sull’Elba dell’Olimpico, in un espatrio che sa di castigo. E anche il derby, persino la battaglia campale, per il Pupone novello sovrano è una malvagia condanna a guardare – in prima fila ma da impotente – le solenni scorribande dell’aquila azzurra Olympia e dei suoi falconieri Balde Keita e Dusan Basta (su tutti), che, tra incursioni e colpi da biliardo, stendono la Lupa, smarrita. Il (suo) Romolo con la 10 entra – per una gentile concessione che appare più simile a un ennesimo sbeffeggiamento – a un quarto d’ora dalla fine, travolto e preso a ostaggio. All’opposto di Gandalf, Totti il Grigio vorrebbe guidare un’armata vittima degli sfarfalloni di Rüdiger, i carpiati di Strootman e l’innocuità di Dzeko, ma non può: la Lazio, solida e corale, affonda colpi e si prende la città. Al capitano resta solo un’autorizzazione, una sfilata nel fango al posto del devotissimo De Rossi (ieri a segno su rigore), legionario ed erede naturale, Aragorn perfetto ma disorientato, senza guida e senza appigli. Tutto si trasforma in nebulosi ricordi, i selfie sotto la curva e i “Vi ho purgato ancora” – che per le masse incarnano i veri segni di vittoria sull’avversario – sono cimeli e paccottiglia di un regno, formalmente appena iniziato e forse già finito. Ma solo sulla carta e sugli Annales: Totti è la Roma, per sempre.

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Francesco Petrocelli

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