La strage di Codevigo: il “Cremona” disonorò il Regio Esercito trucidando 136 fascisti

Soldati italiani del G.C. "Cremona"
Soldati italiani del G.C. “Cremona”

Conti Sante è morto in Codevigo il 29-4-945 (atto di morte del Comune di Papigno parte II anno 1972 Serie C n. 1) Terni – Papigno, 18/4/1972” si legge ancora sul polveroso registro dell’anagrafe di Papigno, borgo a pochi chilometri dalla Cascata delle Marmore ai cui piedi sorge una vecchia fabbrica, ex set per due film di Roberto Benigni. Il timbro blu con il nome “Codevigo” è una rarità storica: sepolti dalla coltre della divisione ideologica, i luoghi delle vendette partigiane sono rimasti per anni sconosciuti all’opinione pubblica, fino all’essere progressivamente riportati all’attenzione dell’opinione pubblica dal paziente lavoro di storici e non.

Particolare del registro anagrafico del distaccamento del Comune di Terni a Papigno, con il nominato, la data e il luogo di morte di Conti

Nel 1945 Sante Conti ha poco più di 20 anni; dopo la chiamata alle armi nel 1943, finisce al Nord con la RSI dove si arruola nella Guardia Nazionale Repubblicana raggiungendo il grado di sottotenente. Il 29, appena poche ore dopo la morte del Duce e della Petacci, si trova a Candina un paese del padovano dove sono raccolti i fascisti umbri; altri sono a Codevigo, pochi chilometri più in là. Quel giorno, arrivano sul posto i soldati del Regio Esercito, regolari del Gruppo Combattimento “Cremona” del CIL (Corpo Italiano Liberazione) unità che, fra i ranghi, conta i partigiani della Brigata garibaldina “Gordini” del comandante Arrigo “Bulow” Boldrini. Gli sfollati fascisti vengono rastrellati, poi crepitano i mitra: 136 morti, fra i quali il giovane ufficiale umbro.

Un episodio terribile, accaduto proprio nelle stesse ore in cui tedeschi, inglesi e americani sottoscrivono a Caserta la resa delle truppe germaniche in Italia. Una brutta storia, dunque, che fa sorgere spontaneo un interrogativo: cosa ci facevano partigiani comunisti con il Regio Esercito?

Costituitosi nel gennaio 1945, entrato in combattimento il 2 marzo, il “Cremona” non reca su di sé i segni e i dolori delle battaglie della Guerra di Liberazione al pari delle guarnigioni di Cefalonia, di Lero, di Corfù e del Primo Raggruppamento Motorizzato che si batte, con onore e dignità, nella Battaglia di Montelungo, né può vantare le eroiche gesta del Pavia, del Venezia, della Folgore e dell’Ariete nella guerra 1940-1943. Pertanto, la partecipazione alla strage non sembra essere giustificata dal desiderio di una vendetta che, in un mese e mezzo di attività, neanche ha avuto il tempo di maturare. Inoltre, l’essere regolari in grigioverde imporrebbe ai “cremonini” di applicare le leggi internazionali di guerra che non prevedono l’esecuzione sommaria dei prigionieri. Ma l’ideologia e lo sfruttamento politico della Storia in epoca post bellica hanno fatto del “Cremona” un’unità eroica, simbolo della rinascita nazionale nel nome dell’antifascismo, in particolare nella città di Terni dalla quale circa 300 uomini sono partiti col G.C. nel gennaio 1945.

Lapide che ricorda una delle vendette consumatesi dopo il 24 aprile 1945

Certamente ciò che è accaduto in terra veneta a fine aprile non è imputabile, genericamente, all’organico di un’intera unità; tuttavia, la presenza dei comunisti di “Bulow”, inquadrati come militari in un reparto regolare, dà l’idea di quanto confusa fosse la situazione organizzativa del CIL all’alba del maggio 1945, confusione che ha gettato sul Regio Esercito l’indelebile macchia di una strage che avrebbe potuto essere evitata.

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Marco Petrelli

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