Francia. Macron-Le Pen? Nuovo capitolo della guerra globale tra città e campagna

due franciaCos’hanno in comune il primo turno delle presidenziali francesi, l’elezione di Trump e la Brexit? Sono stati tre appuntamenti elettorali che hanno sottolineato una forte contrapposizione tra metropoli e centri minori.

Ricordiamo tutti come la Brexit fu decisa dal massiccio voto antieuropeo di Galles e Inghilterra del nord, mentre Londra e i grandi centri votarono per il remain; e qualcosa di simile è accaduto negli USA: la Clinton ha vinto in tutte le grandi città statunitensi, ma Trump ha avuto il voto delle aree rurali e (ex)industriali del Wisconsin, dell’Ohio, della Pennsylvania. Anche l’analisi delle cartine elettorali delle percentuali al primo turno di Macron e Le Pen ci consegna un dato simile: nelle aree fortemente a favore dalla Le Pen, resistono dei feudi di Macron corrispondenti ai maggiori centri abitati.

 

I due ceti medio(bassi)
Tramontate le altre distinzioni, la nuova contrapposizione sarà questa? La questione, prima che geografica, appare economica. Da una parte il ceto medio (basso) colpito da deindustrializzazione, delocalizzazione, disoccupazione e caduta del costo di un lavoro sempre meno specializzato; dall’altra chi invece lavora al servizio della globalizzazione, nell’enorme indotto di finanza internazionale, new economy, internet e tech.

La questione ha messo radici più profonde di quelle economiche. La macchina globalista ha prodotto una narrazione che, con la promessa di essere il prossimo Zuckerberg o la prossima startup da centinaia di milioni, celebra il lavoro dipendente non più salariato ma in proprio, ovvero quasi sempre il precariato. Questa celebrazione della precarietà investe ogni aspetto della vita: i suoi pilastri concettuali sono il movimento, esistenziale e lavorativo, l’efficienza produttiva e l’eliminazione della proprietà privata, sempre più inaccessibile, a vantaggio di affitto e consumo usa e getta.

 

Gli avversari del mondo nomade
Il nemico naturale di questo sistema è il territorio, valorizzato solo quando punto di una rete e non come esso stesso un insieme di relazioni. Il territorio è reso monodimensionalmente: ciò che non è DOC, turistico o in altro modo commerciabile non ha più dignità di luogo né identità; il nord della Francia, le aree deindustrializzate degli USA, la campagna inglese divengono interzone monodimensionali popolate da abitanti stereotipati. Nella narrazione globalista conserva multidimensionalità solo la metropoli, punto d’accesso al Matrix, unico luogo dove possono svilupparsi relazioni lavorative e sociali, al ritmo di quella rete globale nella quale il valore è il movimento e tutto ciò che lo ostacola è di conseguenza un disvalore: i confini, le leggi, la proprietà privata, le identità.

Identità e proprietà privata ancorano gli uomini, rallentandoli; i confini sono un freno alla mobilità di persone e capitali, perché rappresentano la legge: la creazione di un dominio internazionale richiede di rompere il rapporto tra legge e luogo, creando un sovra-luogo globale di fatto anarchico, dove vige la legge del più forte o, meglio, del più veloce.

Chi è lasciato indietro dalla globalizzazione è stigmatizzato perché lento, reso monodimensionale; ma resta necessario quello che produce lavorando fuori dalla rete e soprattutto occorrono disoccupazione e conflittualità sociali, come spauracchi da agitare ad ogni minimo spasmo del sistema per confermarne la bontà e accelerare. Quello che accade in Francia: alla candidata che vuole fare marcia indietro si oppone il candidato che della marcia in avanti ha fatto il suo motto. Hanno due racconti della Francia opposti e inconciliabili, come le soluzioni proposte: mai era capitato che lo scontro fosse tanto radicale, la distanza così assoluta e così evidente sul territorio.


Il ritorno delle città-stato?
Una distanza, tra città e campagna, rete globale e territorio, destinata quasi certamente ad allargarsi con conseguenze evidenti già nei prossimi anni; siamo all’alba di una guerra civile fredda, nella quale la sfida non sarà più cercare di coinvolgere la campagna nella globalizzazione, ma provare a mantenere sottoposte alle (ridotte) sovranità nazionali quelle metropoli sempre più chiaramente destinate a ritenersi città-stato.

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Andrea Tremaglia

Andrea Tremaglia su Barbadillo.it

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