Cinema. “Scream” di Wes Craven anticipa il nesso fra violenza e popolarità

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Emma Roberts in “Scream 4”

Hai avuto il tuo momento di gloria/Ora io voglio il mio!” Non sapremmo dirvi se sia merito dell’attrice o del doppiatore, ma Emma Roberts nelle sequenze finali di Scream 4 è davvero da brivido. E non tanto per quel coltellaccio che tiene puntato alla gola della cugina Sidney (Neve Campbell), ma per la voce: un tono infantile, da bambina isterica i cui desideri vanno appagati a costo della vita… degli altri. Fa impressione, garantito, in particolare perché gli omicidi della trama ruotano intorno all’invidia per il successo altrui e alla costante ricerca di popolarità. Dunque, una violenza che nasce dalla debolezza, mentale e di spirito, di personaggi che sfogano la propria rabbia su coetanei, amici, familiari cioé tutti coloro che, per affetto o per fiducia, mai penserebbero di poter essere colpiti e abbattuti da chi è loro vicino.

Per esigenze sceniche e per vendere un film capace di farti saltare sulla sedia, Wes Craven (1939-2015) ha radicalizzato casi di cronaca, ottenendo un prodotto che ha segnato la storia dell’ horror; ma la cronaca ci racconta da tempo anche di situazioni di dolore e di sofferenza, reali, causati dalla medesima ricerca di popolarità, di attenzione e di fama degli antagonisti di Scream. Vero, stragi a colpi di pistola e coltello ancora non se ne sono viste (almeno in Italia), ma elaborare una legge sul cyberbullismo inseguito a notizie di suicidi  delle vittime fa riflettere su quanto il limite fra immaginazione e realtà sia labile.

Per convenzione e per etichetta abbiamo imparato a “relegare” parole come prevaricazione e bullismo solo a determinati ambienti (la scuola, il mobbing lavorativo, il nonnismo da caserma), convinti poi che le maldicenze, le piccole cattiverie, il fare leva sul senso del dovere e sull’emotività altrui o il prendersi meriti che non sono propri siano cose da poco, quelle che “fanno tutti” e che non fanno male a nessuno. Piccole prepotenze, quindi, che però siamo abituati a considerare furbizie per ottenere più rapidamente piacere, importanza, notorietà.

Ma sono le infrazioni minori del giorno per giorno che, sommate, segnano la differenza e che, se non stoppate in tempo, generano quelle situazioni che né leggi, né interventi più o meno tardivi possono poi arginare. E’ tutta una questione di cultura al rispetto di se stessi e di chi ci sta intorno, che non viene però dalla scuola o dallo Stato, ma dal primo nucleo comunitario: la famiglia. E mandare in classe uno psicologo che spieghi ai ragazzi che menare 10 contro 1 è sbagliato e che, ancora, riprendere il tutto (come in Scream 4) mentre la vittima chiede aiuto, si dimena piange è aberrante e una persona con un minimo di sensibilità vivrebbe come un’umiliazione essere costretta ad ascoltare un medico che parla di cose, in fondo, ovvie. E infatti, c’è bisogno che uno specialista mi dica che tormentare una persona è vile e orribile? No, tutto deve partire da una famiglia che educhi ai valori e alla disciplina. Quanto alla violenza gratuita beh, quella va bene solo al cinema: paghi il biglietto, mangi murshmellows, salti sulla sedia e dopo un’ora e mezza è tutto finito. Ed è tutto finto.

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