Per decenni Biffi tenne una fitta corrispondenza epistolare con la religiosa, dagli anni del sacerdozio al cardinalato, raccontando molto di sé e della sua età. Sono scritti poco formali e molto ironici, come si addice a una lettera intima, molto distanti dalla serietà che ha contraddistinto le sue opere e la sua persona. Come scrive il cardinale Caffarra nell’introduzione, Biffi sapeva anche prendersi in giro: giudicava si, esprimendo un pensiero cattolico, ma mai prendendosi troppo sul serio. A differenza di molte personalità della Chiesa o della politica, non voleva mai ergersi a giudice assoluto della contemporaneità.
Le lettere raccontano la sua vita familiare, come la malattia della madre, per esempio, o descrivono le persone più vicine: l’arcivescovo Giovanni Colombo, da lui definito un uomo integerrimo e ortodosso, gli amici Dossetti e Giussani, il fondatore di “Comunione e Liberazione”, l’argine cattolico allo strapotere del Movimento Studentesco di sinistra.
C’è spazio anche alla critica: molto duro fu il suo giudizio sul teologo Turoldo. Così scrisse: “La sua “teologiaˮ è farneticante, la sua abituale frequentazione dei ricchi e dei colti lo induce a farsi annunciatore di una Chiesa povera e semplice. La sua affinità elettiva con chi ha il potere dei mezzi di comunicazione (televisione, Corriere della Sera, etc.) gli dà una risonanza e un’amplificazione del tutto sproporzionata e ingiusta. Purtroppo alla cristianità italiana oggi sono inferti profeti di questa natura.”
Accanto alle impressioni su persone, troviamo pregnanti riflessioni sulla vita, sul suo senso e sul credere. Tenera è la sua considerazione sull’esistere: “L’esperienza ravvicinata del dolore degli uomini e del male è uno spettacolo che supera ogni possibilità di sopportazione, tanto che per sopravvivere penso che istintivamente ci si costringa a renderci almeno parzialmente insensibili e a ispessire per così dire la pelle del nostro spirito. Mi sono sempre chiesto come faccia il Padre (che è padre), che è onnisciente e non gli è data la facoltà di chiudere gli occhi, a reggere questa visione insopportabile. E come possa restare, almeno in apparenza, latitante da queste tragedie. So che la risposta deve stare nel Figlio di Dio Crocifisso, e che in questo (che è il più incomprensibile dei possibili eventi) tutto l’enigma del soffrire umano si comprende. Ma si comprende oggettivamente, in se stesso, sul piano dell’essere; io, soggettivamente, non lo comprendo, e, illuminato da una luce così alta, resto all’oscuro. E mi confermo nella convinzione che siamo chiamati a scegliere tra l’assurdo e il mistero; tra il non-senso e il suicidio della ragione, e la resa a una verità che penosamente ci oltrepassa e ci precede.”
*“Lettere a una carmelitana scalza” di Giacomo Biffi (Itaca)