Giorgio Chinaglia, genio che univa lazialità e ribellismo

Sono le ore 17.15 di domenica 12 maggio 1974. Allo stadio Olimpico di Roma si affrontano Lazio e Foggia. Non è una partita normale perché i biancocelesti allenati da Tommaso Maestrelli vincendo si laurerebbero campioni d’Italia per la prima volta nella loro storia. Alle 17.15 di quel pomeriggio l’intero stadio tratteneva il respiro. L’arbitro Panzino aveva appena assegnato un calcio di rigore alla Lazio, col risultato ancora fermo sullo 0-0. I rigori di solito sono sinonimo di gol, ma quel giorno il pallone pesava particolarmente. All’interno c’era infatti l’intera storia dei capitolini, fatto, fino a quel momento, di sofferenze e sfortune. Solo un uomo potente e massiccio poteva scagliarlo in rete, prendendo a calci il destino di una squadra che, fino a quel giorno, non era particolarmente ricco di successi, avendo vinto appena una Coppa Italia in 74 anni. Solo Giorgio Chinaglia poteva invertire la tendenza. Perfino per i suoi muscoli quel pallone era però particolarmente pesante, e ci mise vari minuti per scagliarlo in porta. Per scaricare la tensione posizionò più e più volte la palla sul dischetto, cambiandone la sistemazione. Bloccò la sua rincorsa per riaccarezzarla, ribaciarla e riposizionarla nel miglior modo possibile. Quasi come se facendo scorrere il cronometro quel pallone pieno di amarezze e delusioni si sgonfiasse e si alleggerisse. Come se Giorgione stesse aspettando il minuto, o addirittura il secondo giusto per cambiare quel maledetto destino che non vedeva di buon occhio la Lazio. Dato che la dea bendata si rifiutava di baciare i biancocelesti fu Giorgio Chinaglia a baciarla trasformando un rigore che significava scudetto.
Rispettando le sue origini, in pieno umorismo britannico, il primo aprile ha deciso di tirare un brutto scherzo agli amanti del calcio. Se ne è andato improvvisamente, lasciando però indelebile nella mente dei laziali l’immagine di quel pallone che alle 17.15 del 12 maggio 1974 si deposita in rete.
Un campione grezzo, muscoloso quanto spavaldo, non particolarmente tecnico, ma forte, molto forte. Un guerriero. Venne spinto dalla sua caratteristica sincerità a rivelare che avrebbe votato il Movimento Sociale Italiano, nella fattispecie Giorgio Almirante. Questa affermazione fece sì che in una partita della Lazio a Firenze, il pubblico locale lo fischiò ed insultò gridandogli “fascista”. In realtà non aveva nessun interesse culturale ed ideologico per la politica, come riportato da Guy Chiappaventi nel libro Pistole e Palloni:“Io non ero fascista, insomma con Mussolini e quelle cose lì non c’entravo niente. Di politica non ci ho mai capito nulla, non mi è mai interessato niente, destra, sinistra o centro per me era la stessa cosa. Ma mi piaceva Giorgio Almirante: poco politicante, così fuori dagli schemi. Un po’ tutta la mia Lazio, se vuoi aveva quello spirito: forte, aggressiva e sfacciata. E, soprattutto, fuori dal Palazzo”. E d’altronde anche recentemente Giorgione ha dichiarato di non essere interessato nemmeno ai problemi politici americani, paese nel quale viveva, tanto da non avere preferenze fra repubblicani e democratici, e non andando nemmeno a votare. Ciononostante si candidò con la Democrazia Cristiana per le elezioni regionali ed europee, senza avere però successo, probabilmente anche a causa della sua fama di fascista. Chinaglia era una persona burbera e buona allo stesso tempo, uno difficile da inquadrare. Di fatto aveva spaccato in due lo spogliatoio della Lazio quando vi giocava: o con lui o contro di lui. Addirittura faceva durare le partitelle di allenamento fino a quando la sua squadra non riusciva a portarsi in vantaggio, o almeno fino a quando non segnava lui stesso il gol del pareggio. La grande fortuna della sua vita (calcistica e non) fu quella di incontrare Tommaso Maestrelli, allenatore che gli fece praticamente anche da padre, e che riusciva a limitarne la litigiosità, facendolo sfogare prevalentemente in campo, dove era diventato uno dei migliori attaccanti della sua epoca. Fin da quando era calciatore Chinaglia era solito bere whisky, più precisamente il Long John, che diventò anche il suo soprannome. Famosa la sua reazione alla sostituzione subita in una partita dei mondiali: Ferruccio Valcareggi decise di toglierlo, e Giorgione rispose mandandolo palesemente a quel paese con evidenti e plateali gesti di braccia. Come accadde quel giorno, anche ora Long John è uscito di scena, ma questa volta non ci sarà nessuno pronto a sostituirlo. Parafrasando una canzone di Albano e Romina, i tifosi della Lazio cantavano “Nostalgia Chinaglia”, alludendo non soltanto al calciatore, ma anche all’epoca che proprio Giorgione simboleggiava. L’ingenuità tipica del campione amato, coccolato e straviziato da tutti, lo aveva portato di recente a commettere alcuni errori, ma questa è un’altra storia. Oggi è giusto ricordare e immaginare Chinaglia con il numero 9 sulle spalle mentre corre: in passato verso la sua curva, ora verso il paradiso che, come il suo cuore, è biancoceleste.

Elmar Bergonzini

Elmar Bergonzini su Barbadillo.it

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