Rispettando le sue origini, in pieno umorismo britannico, il primo aprile ha deciso di tirare un brutto scherzo agli amanti del calcio. Se ne è andato improvvisamente, lasciando però indelebile nella mente dei laziali l’immagine di quel pallone che alle 17.15 del 12 maggio 1974 si deposita in rete.
Un campione grezzo, muscoloso quanto spavaldo, non particolarmente tecnico, ma forte, molto forte. Un guerriero. Venne spinto dalla sua caratteristica sincerità a rivelare che avrebbe votato il Movimento Sociale Italiano, nella fattispecie Giorgio Almirante. Questa affermazione fece sì che in una partita della Lazio a Firenze, il pubblico locale lo fischiò ed insultò gridandogli “fascista”. In realtà non aveva nessun interesse culturale ed ideologico per la politica, come riportato da Guy Chiappaventi nel libro Pistole e Palloni:“Io non ero fascista, insomma con Mussolini e quelle cose lì non c’entravo niente. Di politica non ci ho mai capito nulla, non mi è mai interessato niente, destra, sinistra o centro per me era la stessa cosa. Ma mi piaceva Giorgio Almirante: poco politicante, così fuori dagli schemi. Un po’ tutta la mia Lazio, se vuoi aveva quello spirito: forte, aggressiva e sfacciata. E, soprattutto, fuori dal Palazzo”. E d’altronde anche recentemente Giorgione ha dichiarato di non essere interessato nemmeno ai problemi politici americani, paese nel quale viveva, tanto da non avere preferenze fra repubblicani e democratici, e non andando nemmeno a votare. Ciononostante si candidò con la Democrazia Cristiana per le elezioni regionali ed europee, senza avere però successo, probabilmente anche a causa della sua fama di fascista. Chinaglia era una persona burbera e buona allo stesso tempo, uno difficile da inquadrare. Di fatto aveva spaccato in due lo spogliatoio della Lazio quando vi giocava: o con lui o contro di lui. Addirittura faceva durare le partitelle di allenamento fino a quando la sua squadra non riusciva a portarsi in vantaggio, o almeno fino a quando non segnava lui stesso il gol del pareggio. La grande fortuna della sua vita (calcistica e non) fu quella di incontrare Tommaso Maestrelli, allenatore che gli fece praticamente anche da padre, e che riusciva a limitarne la litigiosità, facendolo sfogare prevalentemente in campo, dove era diventato uno dei migliori attaccanti della sua epoca. Fin da quando era calciatore Chinaglia era solito bere whisky, più precisamente il Long John, che diventò anche il suo soprannome. Famosa la sua reazione alla sostituzione subita in una partita dei mondiali: Ferruccio Valcareggi decise di toglierlo, e Giorgione rispose mandandolo palesemente a quel paese con evidenti e plateali gesti di braccia. Come accadde quel giorno, anche ora Long John è uscito di scena, ma questa volta non ci sarà nessuno pronto a sostituirlo. Parafrasando una canzone di Albano e Romina, i tifosi della Lazio cantavano “Nostalgia Chinaglia”, alludendo non soltanto al calciatore, ma anche all’epoca che proprio Giorgione simboleggiava. L’ingenuità tipica del campione amato, coccolato e straviziato da tutti, lo aveva portato di recente a commettere alcuni errori, ma questa è un’altra storia. Oggi è giusto ricordare e immaginare Chinaglia con il numero 9 sulle spalle mentre corre: in passato verso la sua curva, ora verso il paradiso che, come il suo cuore, è biancoceleste.