Libri. Il culto di Vesta e il fuoco sempiterno di Roma secondo Andrea Carandini

il culto di Vesta
il culto di Vesta

“Intorno al fuoco si sono perpetuate per millenni famiglie, villaggi, rioni, tribù città e stati. Ma chi più se ne ricorda oggi che siamo immersi in queste grandi somme d’individualità frammentate? A chi dicono ancora qualcosa i nome delle dee Hestia e Vesta? Invidio gli Indiani induisti che tutt’ora pregano Agni, il dio che arde. La nostra modernità vieta ogni tradizione e perfino la nostalgia. Il fuoco era il simbolo della vita che continuava, unita e compatta: tutti vi si accostavano per scaldarsi e così fratellanze e cuginanze si rinsaldavano. Il fuoco che si spegneva segnava la frattura di un flusso di esistenza. Un fuoco che durava anche dovendosi spostare – come quello di Troia – era considerato eterno, anche se il focolare era stato distrutto – come quello di Priamo. Noi apparteniamo ormai al tempo del fuoco spento, ma nella mente arde ancora come simbolo massimo di continuità, che nessuno potrà toglierci.” Così scrive l’archeologo romano Andrea Carandini nell’introduzione al suo saggio “Il fuoco sacro di Roma: Vesta, Romolo, Enea”, uscito per le edizioni “Laterza” nel 2015. Il fuoco non è solo chimica o estetica, ma è anche etica e civiltà, e il camino è il suo trono: così al suo cospetto siedono, lo onorano e lo alimento per generazioni intere famiglie, assicurando l’unità e evitando la dispersione dei membri. Nelle notti d’inverno i nostri avi si riscaldavano con il fuoco e coglievano l’occasione per tramandare la tradizione (valori, racconti, saggezza…). Come una fiamma scoppiettante, la vita domestica e pubblica era viva e confortevole. Adesso, come scrive Carandini, i falò sono spenti e il freddo dell’individualismo ha avvolto con il suo manto gelido l’Occidente. Nei millenni e nei secoli passati i fuochi pubblici e quelli domestici assicuravano, come abbiamo già scritto, l’ordine e l’unità: erano garanti di stabilità, perché prospettavano un centro divino e valoriale che sorreggesse la civiltà. Dalla Grecia all’India le città veneravano Hestia in terra ellenica o Agni nella penisola indiana. Erano fuochi pubblici, di solito accesi da mitici fondatori, intorno al quale si riuniva l’intera società civile. Un fuoco, più di altri, spicca per magnificenza e per antichità ed è l’oggetto degli studi decennali di Carandini: il sacro fuoco di Vesta che splendeva nel Foro Romano. L’archeologo romano ci accompagna alla scoperta delle origini del culto vestale, ma la sua indagine non si limita alla dea e al rito: riscoprire i primordi della devozione a Vesta ci aiuta a comprendere le origini di Roma e della sua millenaria civiltà. Nell’Urbe, dalla mitica fondazione di Romolo, un ordine di sacerdotesse, le Vestali, vergini per una generazione (30 anni), assicuravano che il fuoco divino continuasse a splendere: il suo spegnimento avrebbe causato la disgregazione dell’Impero. Secondo la leggenda, Romolo accese il fuoco di Vesta utilizzando un tizzone proveniente da quello di Lavinium, la città d’origine, che era stato portato nel Lazio da Enea dopo la distruzione di Troia. Compiendo questo gesto, l’eroe aveva riunito tutti i falò domestici e dei rioni in unico braciere, sancendo l’unità della nuova città. I romani spiegarono in termini mitici l’origine dell’Urbe e paradossalmente, nel processo evolutivo del culto di Vesta, questi miti furono marginalizzati. Così scrive a riguardo il Carandini: “Le divinità dei Latini, tra cui Vesta, erano molto più antiche di Roma. Nella loro esistenza pre-civica avevano avuto funzioni, storie divine e rapporti con uomini di cui sono rimaste tracce nelle memorie, nei riti e nei costumi dei Romani. Gli dei, concepiti come sempiterni, sono i capolavori di una creatività collettiva piena di fantasia, che prima li ha inventati e poi li ha rimodellati, al fine di armonizzarli con l’evolversi della società: dalla comunità di villaggio, al centro proto-urbano, alla città-stato e all’impero.” La storia di Vesta è parallela a quella millenaria di Roma fino al suo segnimento nel 393 d.C. Il saggio di Carandini ci racconta molto altro ancora sulle origini di Roma, della dea, delle Vestali, della mitologia romana e della discendenza di Enea, non mancando di sottolineare il retroterra indoeuropeo della romanità. L’unica pecca è la considerazione finale che asseconda l’immigrazionismo odierno.

*”Il fuoco sacro di Roma: Vesta, Romolo, Enea” di Andrea Carandini (Laterza)

Alfredo Incollingo

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