Dal punto di vista accademico però, più di un professore espresse subito le proprie perplessità, criticando questa sorta di anglofonia imposta. Si parla anche di professori di fama e pregio internazionale con all’attivo centinaia di pubblicazioni in inglese. La questione, dopo varie prese di posizione e vista la totale chiusura, a detta del centinaio di ricorrenti, del rettore e del Senato Accademico, è finita in tribunale, con l’esito già esposto.
Secondo i ben informati, il rettore se l’è cercata dato che la didattica in inglese al Politecnico di Milano è già erogata. Bastava – spiegano – che Azzone facesse meno rumore mediatico e non imponesse un obbligo stringente e generalizzato facendo nascere attorno alle lauree anglofone una specie di guerra di religione e, oggi, la questione non si sarebbe risolta in questo modo. Invece, al grido di “inglese o morte”, sempre secondo chi ha scritto il ricorso, il rettore si è arroccato su una posizione non conciliabile con quella dei suoi interlocutori, che non ponevano sul piatto delle questioni di secondo piano, andando a toccare aspetti culturali e sociali da non trascurare.
Ad esempio Dino Mandrioli, docente di altissimo livello di informatica, scrisse sulla sua pagina personale come «un conto è l’uso indispensabile dell’inglese come lingua franca e altro è la rinuncia alla propria con tutto il corredo di storia e cultura che già adesso vengono de-valorizzati e umiliati sempre più dalla nostra società e purtroppo anche dalla nostra scuola [Ingegneria dell’Informazione, nda]. E ciò vale anche per l’ambito tecnologico-scientifico-ingegneristico». Mentre il preside di Architettura, Pier Carlo Palermo, che insegna in inglese da anni, commentò l’obbligo della lingua inglese «inutile e dannoso».
È chiaro che la questione non si conclude qui e che i sostenitori proveranno a modificare la proposta, adeguandola alle norme di legge, anzi qualcuno azzarda l’ipotesi che sia già pronta una “exit strategy”. Va comunque riconosciuto un “merito” al rettore: aver messo sul tavolo una questione importante, aperta in tutta Europa. Con la differenza che in Germania e in Francia si è anche già chiusa, la lingua nazionale non si tocca.