Libri. “Minima moralia” di Alain de Benoist e l’eticità nella coerenza

Alain de Benoist
Alain de Benoist

Nel corso del conflitto in atto contro il terrorismo fondamentalista islamico, v’è stato un episodio narrato di sfuggita a qualche telegiornale, considerato a torto di scarso rilevo: un ragazzino nordamericano, non so di quale Stato tra quelli Uniti, fuggì di casa. I genitori trovarono una lettera, sulla scrivania, in cui il monello disse d’essersene andato per unirsi all’ISIS, in quanto schifato dalla mancanza di riferimenti morali in cui era costretto a vivere in casa, a scuola e più in generale nella società nella quale si trovò a nascere. Gli agenti federali lo intercettarono ed arrestarono all’aeroporto di Nuova York, mentre stava per imbarcarsi su di un volo per Costantinopoli, intenzionato a recarsi in Siria. Un marmocchio che preferisce idealmente i tagliagole, nel nome del peggiore fanatismo religioso, è un significativo indice della crisi etica nell’Occidente globalizzato; e spiega perché nella stessa guerra contro il sedicente califfato islamico i più eroici combattenti siano ragazze e ragazzi Curdi e Yazidi, non contaminati dalla caduta dei principî generata da materialismo ed utilitarismo, in Europa e nel Nord America. Per capire tutto questo, forse, può essere opportuno leggere i Minima moralia di Alain de Benoist, disponibile in una splendida traduzione italiana di Giovanni Sessa, uscita pei tipi delle Edizioni Bietti in Milano (€ 14,00). Nel libro, ovviamente, non  vi sono riferimenti alla guerra in corso, o ad episodî alla stessa collegati, ma v’è una dettagliata analisi di come il vuoto morale, denunciato dal ragazzino, si sia generato. In breve: il cristianesimo insegnò ad essere buoni per avere il premio d’una beatitudine eterna, mentre ai cattivi sarebbe spettata una dannazione perenne, tra fiamme, lacrime e stridor di denti (nella nostra cultura nazionale, è innegabile Dante Alighieri c’abbia messo del suo); Manuele Kant avrebbe spiegato come, nell’impossibilità d’intuire la cosa in sé, ci si sarebbe dovuti limitare ad una considerazione ragionevole dei fenomeni che ci si parano davanti a questo mondo, ed a riportare la morale sulla terra, col riproporsi di compiere atti secondo principî che possano valere come regola universale; Geremia Bentham ritenne unico fatto  realmente generale che l’essere umano e gli animali siano in grado di soffrire o di provare piacere, e sia quindi utile agire per aumentare il piacere ed evitare o alleviare il dolore (il nostro Maffeo Pantaleoni modellò su ciò l’edonismo perfetto del suo homo œconomicus); Herbert Spencer (che è Britannico, non affatto Americano!) affermò che la specie migliora selezionando i più adatti all’ambiente, e via discorrendo. Così s’insinuò l’idea che, comunque, il fondamento delle buone azioni stia in un’utilità, e ad esse spetti un premio: in Paradiso o su questa terra, per sé o per la specie. Soprattutto, le versioni immanentistiche non spiegano perché prendersi cura degli anziani, ormai inutili alla procreazione fisica e spesso intellettuale; o l’eroe che si carica il commilitone ferito sulle spalle, rallentando la marcia. Quindi Alain de Benoist rovescia il discorso, e propone un’etica che non cerchi la qualità dell’essere umano nel fine da perseguire, ma, viceversa, l’eticità del comportamento nella coerenza con la qualità intrinseca nell’essere umano medesimo. Dal greco ἀρετή (aritè od aretì, la pronuncia erasmiana non è detto sia migliore di quella dei Greci oggi), che significa virtù, si parla d’etica aretèica. Si fa riferimento alla qualità dell’ ἀνήρ (anèr od anìr), il valoroso e forte; in latino virtus, la forza del vir, da cui l’italiano virilità. Questo pone la questione della qualità. Scrisse Maynard Pirsing, l’autore di Lila e de’Lo zen e l’arte di manutenzione della motocicletta: «La qualità […] sappiamo cos’è, eppure non lo sappiamo. Questo è contraddittorio. Alcune cose sono meglio di altre, cioè hanno più qualità. Ma quando provi a dire in che cosa consiste la qualità astraendola dalle cose che la posseggono, paff, le parole ti sfuggono di mano. Ma se nessuno sa cos’è, ai fini pratici non esiste per niente. Invece esiste eccome. Su che cos’altro sono basati i voti, se no? Perché mai la gente pagherebbe una fortuna per certe cose, e getterebbe altre nella spazzature? Ovviamente alcune sono meglio di altre […] ma in che cosa consiste il meglio?». Forse l’esempio dei voti non è un gran che: se ci si riferisce alla politica la demagogia impera; se alla scuola siamo in un periodo di ministri della pubblica istruzione di un’ignoranza crassa. Quanto a quello che pagherebbe la gente, imperversa la pubblicità commerciale globale; od al gettar via, ho letto che in un paese qualcuno ha messo su una biblioteca popolare circolante raccattando i libri buttati. La qualità degli esseri umani la si percepisce intuitus personæ. Non dipende dal sesso, ho conosciuto una massa di maschietti vili … . Consiste nella forza che si dimostra nel difendere la: «… libertà d’azione e di pensiere». Qui v’è una differenza fra l’autore e questo recensore: la quinta essenza dell’etica aretéica di sempre è la forza espressa nel difendere i diritti di libertà, e le carte che li statuiscono sono i minima moralia dell’ἔθος (éthos) contemporaneo, delle sane abitudini dell’oggi conformi ad Immortali Principî.

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Riccardo Scarpa

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