L’intervista. Lotta, scherma e filosofia, cosa sono le arti samurai tradizionali

1503652945753_1503654297040La città di Bari è da sempre considerata il ponte che collega la Puglia e l’Italia all’Oriente, ed è proprio presso la città pugliese che all’Ikazuchi Dojo il Maestro Maurizio Colonna, allievo diretto del sensei Yamada, tiene il suo corso di arti samurai, accorciando quotidianamente le distanze tra il nostro Paese ed il Giappone.

Maestro Colonna cosa si intende per “arti samurai”?

I termini “Arti Samurai” si riferiscono all’insieme di discipline marziali tradizionali giapponesi, non parliamo di una disciplina a sé stante e onnicomprensiva e standardizzata, ma di un programma di studio. Le arti dei samurai sono in realtà una costellazione di scuole, correnti e stili che possono essere enumerate nell’ordine di decine e decine. Esistono, tuttavia, dei termini giapponesi generici che le contraddistinguono, e sono “Koryu” (scuola antica) oppure “Ryuha” (sistema). Questi termini individuano tutte quelle correnti, stili e scuole che furono codificate prima della Restaurazione Meiji nel 1868, ovvero in coincidenza della fine del periodo feudale nipponico (Edo o Tokugawa). Prima ancora dell’uso e degli scopi è questa data a distinguerle nettamente da ciò che è definito Gendai Budo (vie marziali moderne) come Kendo, Aikido, Karate e Judo.

Quando iniziarono di preciso a svilupparsi tali arti?

L’allenamento marziale in Giappone risale a prima degli albori della storia, e l’addestramento organizzato può essere documentato all’inizio dell’VIII secolo, sebbene il consolidamento delle arti marziali in sistemi si sviluppò dalla metà alla fine del periodo feudale (Edo).

I Samurai cercavano per la loro formazione ed aggiornamento, dei guerrieri con la reputazione di combattenti esperti e ricorrevano a loro per l’istruzione marziale. Questi maestri del combattimento iniziarono così a codificare le proprie conoscenze ed esperienze, e ad organizzarle in un metodo di studio. All’epoca i maestri di arti marziali spesso viaggiavano, istruendo gli studenti dove li trovavano. Alcuni studenti seguivano i propri insegnanti di luogo in luogo, altri si formavano sotto di loro per brevi periodi, nell’arco di tempo in cui l’insegnante risiedeva nella stessa zona. In entrambi i casi, a quei tempi un ryuha aveva poca esistenza concreta al di là dell’uomo che lo insegnava.

Era pratica comune poi, presso i discepoli diplomati nelle scuole, di fondere ciò che avevano appreso con intuizioni personali, o con tecniche e idee apprese da altri insegnanti. Spesso, gli ex-discepoli cambiavano il nome dello stile, fondando a tutti gli effetti un “nuovo” ryuha ad ogni generazione.

Nel periodo Edo le arti marziali giapponesi furono classificate in diciotto differenti rami, definiti Bugei Ju-Happan. Fondamentalmente, la suddivisione del governo dello Shogun distingueva le seguenti materie militari: Kyujutsu (arceria), Hojutsu (artiglieria), Tantojutsu (coltello), Naginatajutsu (alabarda), Mojirijutsu (gancio), Bajutsu (equitazione), Sojutsu (lancia), Shurikenjutsu (lancio di lame), Ganshinjutsu (aghi), Toritejutsu (immobilizzazioni), Kusarigamajutsu (catena e falce), Bojutsu (bastone), Shinobijutsu (furtività/invisibilità), Suijutsu (nuoto), Kenjutsu (scherma), Battojutsu (estrazione della spada), Juttejutsu (bastone d’arresto) ed infine Jujutsu (difesa personale disarmata).

Quali sono dunque le finalità delle arti praticate nel suo Dojo?

Gli scopi delle arti samurai portano inevitabilmente ad operare una distinzione tra “storici” ed “attuali”. Le tecniche delle ryuha nacquero e si svilupparono a seguito di un’empirica ideazione e applicazione sui campi di battaglia. Nel tardo periodo Edo le fisiologiche modifiche attuate dai capiscuola di quel periodo non sempre obbedivano ad esigenze pratiche in scenari reali, anche perché erano tempi di relativa pace generale. Ciononostante, le arti samurai classiche a differenza dei loro derivati moderni creati tra il XIX e il XX secolo, tendono a conservare quello spirito guerriero, quell’insieme di atteggiamenti e tradizioni appartenenti ad un retaggio più pugnace, in cui la figura del Bushi (altro nome per definire guerriero) aveva un ruolo più centrale anche a livello sociale.

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Dunque che senso ha praticare le arti dei samurai oggi?              

Esistono tante risposte quante possono essere le motivazioni dei singoli praticanti.

Il nostro maestro Yamada, ad esempio, le pratica per onorare la tradizione di famiglia e la storia della propria nazione. A ciò si aggiunge indubbiamente la valenza introspettiva e filosofica della scherma, soprattutto da quando lo Zen iniziò a influenzare le arti marziali in Giappone.

Ecco dunque che l’allenamento al maneggio della spada per esempio, disciplina centrale delle arti samurai, se sotteso da una filosofia di consapevolezza e indagine del Sé, supera il concetto di “anacronismo” e porta il contesto oltre lo scopo d’utilità pratica, diventando “pratica utile” alla realizzazione interiore.

Seppur non immune da contraddizioni, la cultura nipponica, soprattutto quella tradizionale, colma alcune mancanze nel vivere quotidiano dell’uomo occidentale. Onore, sincerità, umiltà, rispetto, dovere, disciplina, per citarne alcuni dei Samurai, sono valori che abbiamo perduto nel corso della nostra storia, trascinati via dalla radicalità di movimenti che hanno proposto la libertà più come assenza di limiti individuali che rispetto di quelli personali.

Ma all’Ikazuchi Dojo non c’è solo lavoro introspettivo ed educativo. Vi è anche una pratica d’esercizio denominata “Gekiken”. Il Gekiken è una arte di combattimento, la cui denominazione è un termine “generico” giapponese indicante una forma di scherma libera. Utilizzando una spada di bambù imbottita come la fukuro-shinai gli spadaccini giapponesi erano in grado di poter combattere liberamente l’uno contro l’altro utilizzando le tecniche caratterizzanti il proprio stile. La documentazione storica fa risalire il Gekiken al tardo periodo Edo quale tentativo di portare spadaccini di diversi stili a tirare di scherma insieme, in un’epoca in cui le differenze stilistiche erano “benvenute” e l’interesse pubblico per l’arte della spada era alimentato da competizioni e dimostrazioni.  Il sistema del Gekiken, più tardi, evolverà nel Kendo sportivo, depauperandosi di molte delle tecniche storiche tradizionali che lo caratterizzano.

Una grandissima differenza tra il Kendo e il Gekiken è l’assenza nel secondo di qualsiasi tipo di standardizzazione, cosicché i praticanti di scuole differenti erano (e sono) in grado di confrontarsi tra di loro.

La riscoperta e l’introduzione della pratica del Gekiken nella Sekiguchi Ryu Battojutsu è frutto della volontà e dell’intuito dello stesso maestro Toshiyasu Yamada. Già impegnato in un’intensa e seria attività di ricerca storica di documenti perduti relativi allo stile, con il parallelo lavoro di revival di varie tecniche storiche, Yamada sensei ha valutato importante introdurre lo sparring libero di scherma tradizionale a fianco del Battojutsu (l’arte d’estrazione rapida della spada).

Chi sono gli ambasciatori più noti di quest’arte?

Per quanto riguarda la Sekiguchi Ryu Battojutsu praticata nell’Ikazuchi Dojo, il riferimento più eminente è il già nominato Toshiyasu Yamada.

Nato il 25 dicembre 1975 egli è il 17° Shihan-ke (o “Shike”) della Sekiguchi Ryu Battojutsu.

Yamada sensei ha dedicato praticamente tutta la sua vita allo studio e alla conservazione dello stile Sekiguchi Ryu Battojutsu, acquisendo nel suo percorso innumerevoli conoscenze sulle tradizioni giapponesi, sulla cultura, su altre Koryu e sulle moderne arti marziali.

Egli è uno dei rari maestri giapponesi che autenticamente trasmettono la loro arte e la conoscenza, anche a persone non giapponesi.

Yamada sensei possiede inoltre pergamene private sugli insegnamenti della Sekiguchi Ryu, qualificandosi pertanto come una delle pochissime persone ad avere una conoscenza profonda in questo sistema  marziale.

Il maestro vive a Gifu, Giappone, dove la Sekiguchi Ryu ha prosperato ed è stata trasmessa sin dalla Seconda Guerra Mondiale.

Quali benefici apporta quest’arte marziale a chi la pratica?

Le arti guerriere tradizionali giapponesi dal punto di vista specificatamente “militare” sono indiscutibilmente obsolete, non tanto per l’efficacia in sé, quanto per le ormai mutate modalità di combattimento che caratterizzano la cosiddetta “guerra moderna”.

Tuttavia sono rilevabili alcuni miglioramenti che si potrebbero definire “pratici”, quali il miglioramento della percezione cinestetica. Ovvero quella capacità in cui il corpo è nel contempo soggetto e strumento dell’atto motorio. In kata della Sekiguchi Ryu, per esempio, il lavoro sulla percezione cinestetica entra nel suo massimo livello. La felice esecuzione di tali kata richiede una coscienza corporea senz’altro superiore dato che si attuano gesti e catene motorie molteplici nei piani verticale, orizzontale e laterale, anche in tempi sincopati e irregolari, il miglioramento delle capacità di gestione di tempo, ritmo e spazio. Evidente sopratutto nell’applicazione pratica (bunkai) dei kata, quale contesto dinamico e non solo meccanico, il miglioramento della capacità decisionale. Che sia forma o applicazione, la Sekiguchi Ryu Battojutsu allena e migliora la capacità di percezione interna ed esterna, determinando una maggiore chiarezza di valutazione con una conseguente aumentata rapidità nel prendere decisioni. È accertato che ci si muove in un campo in cui l’analisi razionale deve giocoforza lasciare il posto all’induzione esperienziale propria delle filosofie Zen. Tuttavia i risultati rientrano nell’ambito del “misurabile” anche empiricamente. E infine il miglioramento della condizione fisica e funzionale. Pare essere un’ovvietà, ma de facto non lo è. La Sekiguchi Ryu Battojutsu, presa sempre d’esempio in quanto disciplina centrale del programma dell’Ikazuchi Dojo, si configura essenzialmente come un’attività di tipo anaerobico. Ogni atto motorio per quanto intenso non è mai “anti-fisiologico” (salvo condizioni pregresse del praticante). Si lavora in prevalenza con addominali, cosce, glutei e schiena che ne risultano tonificati e rinforzati.

Il lavoro aerobico in realtà risiederebbe nell’eventuale pratica del Gekiken (il combattimento libero di scherma) e del warm-up tramite i Ken Suburi (gli esercizi fondamentali di taglio), andando così a completare una già di per sé ottima pratica.

In Italia quanti sono a praticarla e chi l’ha importata per la prima volta?

Il mondo dei praticanti di arti samurai in Italia si configura come una miriade di entità indipendenti che fanno capo ognuna ad una Koryu diversa. Per ciò che riguarda la Sekiguchi Ryu Battojutsu e alcune discipline collaterali sempre facenti parte del programma dell’Ikazuchi Dojo, esse sono state importate nel 2010 dal sottoscritto, ora responsabile europeo.

Ma il “movimento” dei praticanti e studiosi di stili tradizionali giapponesi prende vita sicuramente alla fine degli Anni ’80, ma parliamo di realtà embrionali. È soprattutto dagli Anni 2000 in poi che le ryuha di arti samurai iniziano a conclamarsi in maniera più evidente, vuoi anche per l’aumento dei praticanti che oggi potremmo stimare complessivamente in diverse centinaia in Italia, vuoi per la maggiore reperibilità di documentazione e contatti di maestri giapponesi da cui apprendere. Paradossalmente le Koryu si sono diffuse successivamente a discipline nipponiche più moderne come Jujutsu, Kendo, Aikido, Judo e Karate.

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