Focus/Mostre. I 230 anni dei cattolici in Corea al tempo del papato che guarda a Oriente

rev170660(1)-oriL’8 settembre in Vaticano, presso il Braccio di Carlo Magno, maestoso ambiente che collega la Basilica di San Pietro con il Colonnato del Bernini e da poco completamente restaurato, è stata presentata la mostra: Come in cielo così in terra. Seul e i 230 anni della Chiesa Cattolica in Corea, la quale sarà aperta al pubblico con ingresso gratuito dall’11 settembre sino al 17 novembre. 181 opere per festeggiare una importantissima ricorrenza che unisce la Santa Sede, e dunque anche Roma, a questo particolare e ingiustamente poco compreso, più che conosciuto, Paese orientale.

Questa interessante esposizione racconta non solo degli inizi della fede cattolica in Corea, con le prime conversioni e le tante e feroci persecuzioni, ma pure la sua storia moderna, con la partecipazione della Chiesa ai movimenti sociali – va ricordato che in questa Nazione ci sono 5 milioni e mezzo di cattolici, tutti o quasi praticanti – offrendo così un panorama che abbraccia oltre due secoli di vita e di fioritura del Vangelo nella Penisola Coreana. Benché la persecuzione sia durata per secoli, in Corea si è continuato a mantenere viva la fede cattolica e il messaggio del Cristianesimo sino a oggi, al punto che ormai sono gli stessi coreani a portare avanti in prima persona la missione di evangelizzazione in Asia.

La scelta della data di inaugurazione non è stata affatto casuale: il  9 settembre del 1831 Papa Gregorio XVI annunciò la istituzione del Vicariato Apostolico di Joseon, che fu la più grande dinastia coreana, regnando dal 1392 al 1897. Per il 9 settembre è stata prevista quindi una messa inaugurale in piazza San Pietro, che coinvolgerà circa 600 persone, tra cui la Conferenza Episcopale Cattolica della Corea, varie autorità vaticane e i delegati giovanili di 15 paesi asiatici. Curioso notare come la stessa data coincida col 69° anniversario della fondazione della Corea del Nord.

Cultura orientale e Vaticano

Quando si parla di cultura orientale legata al Vaticano, è impossibile non non fare riferimento al suo Museo Etnologico, una collezione che vede solo nel Museo Pigorini – allora, sempre di Italia e Roma si parla – un suo pari a livello mondiale; entrambe raccolte immense ed esposte in minima parte. La istituzione di questa fondamentale quanto ignorata sezione dei Musei Vaticani si deve a Papa Pio XI Ratti, colui che definì Mussolini: “L’uomo della Provvidenza”. Una cosa con il Duce il Papa l’aveva però in comune, un fortissimo interesse verso l’Oriente, inteso in  in senso lato, e la sua millenaria cultura, insieme alla volontà di comunicare con i Popoli di quel continente. Per far ciò, Mussolini, su consiglio di Giuseppe Tucci, fondò nel 1933 l’IsIAO (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente); il Pontefice non gli fu da meno, con la organizzazione a Roma della Esposizione Universale Missionaria del 1925, grazie alla quale venne creato il nucleo delle raccolte etnologiche vaticane.

Una storia di salvezza

Si può giustamente affermare che i 230 anni della Chiesa Cattolica in Corea costituiscono una storia di salvezza, la quale testimonia la ferrea volontà di questi cattolici per scelta, che si convertirono, differentemente da qualsiasi altro popolo sulla Terra, da soli, senza bisogno di missionari.  Costoro vennero, come detto, perseguitati, poiché la loro fede cristiana predicava la uguaglianza, mentre la rigidità del Neo-Confucianesimo, che innervava tutto l’apparato statale coreano, era in favore di una società castale.

Il papato che guarda a Oriente

Bergoglio ci lascia sovente interdetti per molte cose, nel suo essere troppo un uomo politico e sempre poco il Vescovo di Roma; ovvero, colui che dovrebbe continuare e preservare una tradizione plurisecolare. Tuttavia, la sua visione globale, addirittura tendente al globalista, ha individuato per l’appunto l’Asia quale interlocutore primario per la Santa Sede: mai sono stati così buoni i rapporti con Pechino, e la Corea sta investendo su Roma, basta citare la apertura da un anno di uno stupendo centro culturale nei pressi di Porta Pia. Onestamente, per il semplice fatto di essere degli orientalisti, per una volta siamo d’accordo con questo Pontefice, come cristiani rimaniamo invece un po’ perplessi dalle sue idee e atteggiamenti. Speriamo, dunque, che tale collaborazione con l’Oriente possa arricchire ancora le già magnifiche collezioni asiatiche dei Vaticani, le quali hanno proprio nella sezione coreana uno dei tanti punti di forza. Purtroppo, da italica procedura, essa si trova praticamente tutta nei depositi. Inoltre, al momento della presentazione, ci aspettavamo che la nuova Direttrice, Barbara Jatta, parlasse della collezione vaticana di oggetti coreani, ma così non è stato. Vediamo tuttora con favore il suo operato, ci aspettiamo perciò che si impegni in modo convinto sulle donazioni, acquisizioni e l’ampliamento del percorso espositivo. Ragion per cui, e chi avrà la opportunità di visitare la mostra se ne renderà conto, abbiamo compreso che questa iniziativa non è stata pensata per esporre arte, bensì per raccontare il percorso di fede del Popolo Coreano.

Ciononostante, è giusto soffermarsi almeno un attimo sull’aspetto artistico. Tra le diverse opere ce ne sono alcune assai significative. È il caso del primo libro di catechismo (1800) scritto in Hangeul, ovvero in lingua coreana e non cinese; ricordiamo, infatti, che il Cattolicesimo è stato introdotto in Corea attraverso testi scritti in caratteri cinesi. Di grande impatto è poi un enorme pannello laccato con inserti in madreperla (2017), opera di Kim Kyung-ja. Davvero squisita è infine una Madonna con bambino (dipinto su carta, 1949) di Chang Woo-soung, esempio quintessenziale di sincretismo estetico; mentre dalle raccolte vaticane provengono solamente alcune antiche matrici in legno per xilografie.

“Come in cielo così in terra”, così noi sogliamo recitare, nell’auspicare una giustizia che non sia fatta dall’Uomo, ma della quale noi possiamo beneficiare per volontà del Signore, questo è il senso di una preghiera. Durante la presentazione, tutti i relatori coreani, sia laici sia religiosi, hanno espresso la volontà di pace con i loro fratelli del Nord, invitandoci con educata insistenza a pregare per una unificazione tra le Due Coree. Ci uniamo a questa preghiera, affinché un Paese, che tanto ha sofferto nei secoli, possa finalmente trovare il momento di godersi il Bello in santa pace. A tal proposito, i coreani provano un senso di adorazione per l’Italia e il suo stile di vita; nella loro “orientale ingenuità”, ritengono che gente capace di creare il luogo e la cultura più importanti sul pianeta non possa che essere in una specie di perenne stato di grazia; bontà loro, troppo puri. Non sia mai però che li si creda sciocchi, esclusivi esportatori di prodotti tecnologici e di quel fenomeno un po’ cretino che va sotto il nome di K-Pop. Tutta la sapienza cinese venne trasmessa ai giapponesi dai coreani ed è sufficiente vedere il modo in cui hanno ripreso la nostra iconografia sacra, per considerarli un popolo validissimo. Eppure, l’aspetto di maggiore rilevanza, e questa mostra aiuta benissimo a capirlo, è che come sono cattolici loro, beh, noi non lo siamo forse più.

@barbadilloit

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati su Barbadillo.it

Exit mobile version