L’intervista. Il progetto Hallyink si racconta: “Il calcio cult per salvare una generazione”

ITALIA90FINAL

Nella contea britannica di Durham, ad un tiro di schioppo dal mare del Nord, c’è la brulicante città di Hartlepool, con la sua working class, dolce e devota alla squadra locale, militante nella quarta divisione inglese. Qui, Gavin, inguaribile tifoso dell’Hartlepool United, si è inventato Hallyink, piattaforma virtuale su cui vende gadget di ogni genere, portachiavi, tazze, ma anche magliette, quadretti e poster di tutte le dimensioni, che richiamano l’universo del calcio di venti e trent’anni fa. Tutto con una grafica e con gli occhi di chi ancora pratica, come un culto, il ricordo di quei tempi e custodisce il filo rosso che lega Maradona, tutte le maglie dello Sheffield in versione magnete, una tazza con la rovesciata di Gascoigne e le calze degli Spurs. Gavin ci ha raccontato il suo progetto e ci ha mandato, in esclusiva, alcuni dei suoi lavori sul calcio italiano. 

Gavin, cos’è e come nasce il progetto Hallyink?

“Hallyink è invenzione di illustrazioni e immagini di calcio che diventano prodotti vintage di ogni genere per i fan. Le divise delle squadre mi affascinano da quando ero bambino. I miei genitori mi spinsero alla progettazione dei kit e alla creazione di magliette cult degli anni ’80 e ’90. La mia attività è nata sulle richieste che mi facevano amici e famiglia e, pian piano, con altre richieste, si è evoluta in hallyink”.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

“Mi ispirano molti artisti di generi diversi come Ames Bros e Julien Opie. I giocatori di calcio e le divise continuano, ovviamente, ad influenzarmi. Alcuni spunti provengono anche dalla vita quotidiana come la le scritte sui cartelli e sui giornali, le copertine degli album e anche le linee e le figure dei libri che sfoglio con i miei figli”.

Hallyink è una reazione al ‘pallone di oggi’?

“Quello che mi interessa di più è trovare una connessione individuale, di spirito, con la propria squadra e con la cultura che la circonda. Sono ancora così innamorato di questo mondo forse perché tifo l’Hartlepool United, un club inglese non di lega, ma di quarta categoria: la fama e la spettacolarizzazione che circondano gli alti livelli del calcio non mi hanno mai sedotto”.

E’ ancora possibile parlare di icone e bandiere?

“A mio parere questo è un discorso che ha a che fare con la personalità, la natura e le circostanze individuali più di qualsiasi altra cosa. Lealtà ed impegno vogliono dire restare nel proprio club quando si è corteggiati da tutti. Questa è la strada per diventare idoli dei tifosi”.

Il pop e il cult-retro salveranno il calcio moderno?

“Non c’è un posto per tutti? Il calcio moderno ha una propria cultura e abbraccerà la prossima generazione di appassionati. Tutto cambia. Lo vedo quotidianamente con mio figlio di 10 anni che è affascinato dai giocatori più costosi e dai loro stili di vita: FIFA, gli  sponsor, i media, è una pressione continua. Questa ondata però non travolge il calcio che non è di lega e che emoziona ancora chi compra un abbonamento per l’Hartlepool United. C’è sicuramente un posto per il calcio di oggi, però la cultura retro che si riflette nel mio lavoro mantiene sana una generazione”.

Gavin ci regala il ‘suo’ Pirlo
Portachiavi degli Spurs

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Francesco Petrocelli

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