Focus. Casa Pound e i dibattiti con Mentana e Formigli: una dediabolizzazione autarchica

La dédiabolisation in salsa tricolore? La rimozione del distintivo di demonizzazione? Le tartarughe frecciate se la fanno in Casa…Pound. Non è un calembour ma è quello che sta avvenendo a Roma, nella sede del centro sociale di destra dove oltretutto, da qualche tempo a questa parte, essere ospitati è segnale che in politica o in tv si conta. L’ultima trovata si chiama “Confronti”: un ciclo di faccia a faccia con i maggiori opinion maker televisivi. Il sottotraccia è: dato che si parla tanto nelle trasmissioni di CasaPound – a proposito del tema “invasione”, delle polemiche sui centri di accoglienza o sull’avanzata delle destre radicali in Europa – ma pochissimo con CasaPound in studio, tanto vale portare la tv fisicamente a “casa”. È stato Enrico Mentana – il mattatore televisivo per eccellenza – ad inaugurare la stagione varcando le porte del centro sociale, sdoganando, di fatto, il movimento politico agli occhi del “selezionatissimo” pubblico di La7 e confermando con la sua presenza il trend crescente di attenzione nei confronti del movimento. Se quello tra Mentana e il vicepresidente di Cpi Simone Di Stefano è stato un incontro che ha spezzato l’incantesimo tra informazione mainstream e i sovranisti radicali – dato che le distanze politiche sul portato storico del fascismo come sull’attualità sono state accompagnate però da una reciproca accettazione – martedì è stato il turno di un altro pezzo forte della scuderia La7. A confrontarsi con Di Stefano è stato Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, che da parte sua ha sempre rivendicato il suo “antifascismo” nei confronti anche di CasaPound. Con Formigli è stato un ring sui temi dell’immigrazione, dell’accoglienza e ovviamente della storia. Ma anche lui ha riconosciuto di essere nella casa di «un movimento vitale e pulito».

CasaPound dimostra, quindi, la volontà di volersi smarcare dalle trappole e dalle velleità palingenetiche della fascisteria e di voler istituzionalizzare la sua proposta anche “riconoscendo” e “facendosi riconoscere” dai mediatori del grande pubblico. Dopo la grande delusione per l’occasione mancata dell’alleanza nero-verde con Matteo Salvini (che ha comunque concesso grande visibilità a Cpi e la patente di forza alleabile), si è moltiplicato l’impegno del movimento nella “grande periferia d’Italia”, ossia le tante Tiburtino III sparse nella Penisola. Il risultato? Sono arrivate le prime vere affermazioni elettorali a Bolzano, Lucca e Todi e tra poche settimane ci sarà l’appuntamento cruciale di Ostia, dove Cpi è sondata tra il 6 e il 10%. E allora, davanti a un centrodestra considerato non credibile come fronte sovranista, dato il ritorno al centro di Berlusconi a trazione Ppe, testata l’inaffidabilità dei Cinque Stelle alla prova dei fatti, la soglia del 3% alle Politiche da CasaPound viene considerata un traguardo possibile.

Per raggiungere l’obiettivo – per parlare, cioè, ai delusi di destra e ai “diversamente anti-politici” – è tempo adesso di accreditarsi come realtà politica affidabile. Questo è uno degli obiettivi della dédiabolisation in corso. A differenza però di ciò che ha fatto in Francia il Front National, CasaPound procede sì con l’operazione “tranquillità” – Di Stefano si presenta puntualmente in giacca e ha un tono di voce mai aggressivo, i giovani consiglieri eletti puntano su un’opposizione efficientista, le donne hanno ampio spazio nella comunicazione e nei video di denuncia – ma, rispetto a quanto accade oltralpe, l’intento delle tartarughe frecciate sembra non contemplare alcuna mimetizzazione dei contenuti: anzi, l’obiettivo resta, parafrasando una celebre uscita di Giano Accame che vedeva nell’azione di Marinetti la ricerca del «fascismo nella libertà», quello di proporre la stessa formula nella democrazia di oggi, rilanciando il riformismo nazionale e radicale come muro sul quale far infrangere l’ondata globalista. Se da un lato, quindi, CasaPound “debordianamente” sfrutta tutti gli assist degli incauti sponsor (a partire da Maria Elena Boschi) che credendo di demonizzare l’avversario hanno sortito l’effetto opposto, altrettanto ha scelto di fare portando adesso i riflettori tra le proprie mura: non per farsi puntare contro la telecamera ma per parlare direttamente alla telecamera. (da Il Tempo)

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Antonio Rapisarda

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