Effemeridi. Corradino di Svevia e l’aquila che strisciò l’ala destra nel suo sangue

01-C-WEB29 Ottobre 1268. Nella piazza del mercato di Napoli, a soli 16 anni è decapitato Corrado di Hohenstaufen, detto Corradino di Svevia, ultimo degli Staufer, duca di Svevia, re di Gerusalemme, re di Sicilia.
“Il figlio di re Corrado, Corradino, era apparso nella penisola. Ancora una volta i ghibellini nutrirono speranza: grande fu l’entusiasmo con cui fu accolto nelle città già imperiali dell’Italia settentrionale, Verona e Pavia, e poi a Pisa e a Siena, il fanciullo alto e snello (“Così bello che non troveresti il migliore”): quindicenne, col suo amico di circa tre anni maggiore, Federico del Baden e d’Austria, lasciava la patria sveva. “Perché la superba schiatta a cui apparteniamo non abbia a degenerare nella nostra persona” era lo scopo che muoveva l’altero giovinetto al sud; e, come dovessero avverarsi in lui i sogni dell’antichissima gente staufica, riuscì al giovane Corradino ciò che in tempi lontani al puer Apuliae, non era riuscito al gigantesco imperatore e Cesare Federico II: l’amico al fianco, egli entrò, “vincitore che porta la fortuna e trionfatore”, felix victor ac triumphator, in Roma ghibellina, che gli fu consegnata da suo cugino Enrico di Castiglia, senatore della città eterna. Da ponte Sant’Angelo al Campidoglio era tutt’un susseguirsi di archi di trionfo, di casa in casa si tendevano cordoni donde pendevano tappeti, sete e stoffe purpuree; cori di donne romane cantavano all’ultimo re staufico canti di saluto, mentre i romani, condottolo in Campidoglio, ve lo acclamavano imperatore. Era la Roma ghibellina quella che accoglieva lo Staufen: e i romani, tante volte scossi nel loro dormiveglia dalla voce tonante dell’avo, si sovvennero ora del sangue romuleo, dei trionfi e dei serti d’alloro di un tempo, e resero omaggio al nipote, indifeso come lo è un fanciullo (…) A neppure quattro settimane dal trionfo, venne la catastrofe. A Tagliacozzo (come a dire all’entrata del regno), vinto con l’astuzia e tradito nella fuga, Corradino cadeva nelle mani dell’Angiò, e con lui gli ultimi membri della sua casa. (…)

La decapitazione e l’aquila

La sentenza dell’Angiò, inaudita, di far decapitare sul patibolo un re prigioniero di guerra (sentenza a cui si oppose la maggior parte dei giudici), è nota. Sulla piazza del mercato di Napoli, dinanzi a una folla brulicante che non aveva mai assistito alla decapitazione di un re, fu eseguita alla presenza del francese: ma, come si narra, quando la testa dell’ultimo re staufico rotolò a terra, piombò velocissima dal cielo un’aquila che, strisciata l’ala destra sul terreno nel sangue di Corradino, risalì rapida come una freccia nell’etere, bagnata del sangue dei Divi” (Ernst Kantorowicz, “Federico II imperatore”).

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Amerino Griffini

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