Cinema. Il Rabdomante di Fabrizio Cattani, un film tra Sud, magia e antropologia

Se si torna indietro di una decina d’anni, si possono scovare opere del cinema nostrano indipendenti, sotterranee, locali, con un’impronta però incisiva. Il Rabdomante, infatti, film d’esordio di Fabrizio Cattani, più che un film può essere considerata la rappresentazione romanzata figlia di un saggio di antropologia degno del compianto Ernesto De Martino, vate-antropologo, che ha studiato a fondo i legami, quasi ancestrali, tra la così detta “magia popolare” e il troppo stereotipato Sud Italia. Rabdomante 1 La tradizione popolare indica come rabdomanti coloro i quali dispongono di un particolare dono che consiste nel percepire la presenza di una sorgente d’acqua nel sottosuolo. Il depositario di tale dono, nel film, è Felice, nomen omen, trentenne trasandato, di professione contadino con la passione per Modugno ed i film di Sergio Leone registrati su cassetta. La vita gli viene sconvolta da Harjia, ragazza madre in cerca di un destino migliore, che porterà Felice in un disegno dalla trama intricata e torbida in cui follia e lucidità si intersecano e si escludono a vicenda. La sensibilità consente a Felice di sentire l’acqua, gli permette di entrare in connessione con essa.  Nella vita quotidiana è timido, scostante e impacciato, anche se nel cuore porta un nodo segreto che, come l’acqua di cui si fa interprete, lo scuote e lo culla al tempo stesso, rinfrancandolo e rigenerandolo. Lo scenario è quello di Matera, la cui  natura viene mostrata nel più ampio respiro ed in tutta la sua maestosità. L’acqua che scorre indica la presenza della vita che si rigenera e rinasce, pronta a scombinare esistenze improbabili di uomini semplici, apparentemente incatenati a tradizioni ataviche, ma in realtà connessi con l’essenza ed in cerca di qualcosa di più grande. Un film da recuperare.

Stefano Sacchetti

Stefano Sacchetti su Barbadillo.it

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