Cinema. Agadah e la forza del fantastico tra mito e letteratura

Una dei protagonisti di Agadah
Una dei protagonisti di Agadah

Siamo nel 1815, il Conte Potocki sta lavorando al suo romanzo nell’elegante dimora in cui vive. Stacco. Maggio 1734, Alfonso di van Worden, giovane ufficiale vallone al servizio di Re Carlo, ha ricevuto l’ordine di raggiungere il suo reggimento a Napoli nel più breve tempo possibile. Nonostante Lopez, suo fedele servitore, cerchi di dissuaderlo dall’attraversare l’Altopiano delle Murgie, perché infestato da spettri e demoni inquietanti, il cavaliere si mette ugualmente in cammino. In un intreccio fantastico, tra sogno e realtà, Alfonso compirà un percorso iniziatico, durante dieci lunghe giornate, tra allucinazioni e oscura magia in caverne misteriose, locande malfamate, amori scabrosi e apparizioni diaboliche.

“Agadah” è un termine cabalistico che si può tradurre con: “narrare”, inteso nelle sue varie accezioni. Ecco, quindi, che la parola scritta irrompe prepotentemente in questo ottimo film tutto italiano. Da anni facciamo ricerca sul difficile rapporto tra Letteratura e Cinema, cercando di chiarire le differenze che sussistono tra una versione e una trasposizione di una opera letteraria su pellicola. Tematica densa di complessità alla quale abbiamo dedicato vari scritti e una apposita monografia (Riccardo Rosati, La trasposizione cinematografica di Heart of Darkness, Brescia, Starrylink, 2004). Nel decidere di assistere alla anteprima di questo film, speravamo che esso ci potesse dare validi spunti per affrontare il rapporto tra queste due arti, e così è stato. Perciò, diciamo subito che Agadah andrebbe considerato quale un momento decisamente felice nel panorama del nostro cinema degli ultimi tempi. Non un capolavoro, ben inteso, eppure nel suo equilibrio strutturale, la pellicola permette di fare un po’ di sana analisi.

Il film del bravo Alberto Rondalli è liberamente tratto dal celebre: Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki (1761 – 1815), un erudito e scrittore polacco dalla vita abbastanza misteriosa. Egli fu un instancabile viaggiatore, influenzato dagli ambienti illuministici francesi frequentati a Parigi, e studioso dai molti interessi. Tuttavia, Potocki è passato alla storia per il suo noto romanzo fantastico-filosofico, da lui scritto direttamente in francese col titolo: Manuscrit trouvé à Saragosse, che ebbe varie stesure, con la prima apparsa nel 1805. L’opera si compone di una serie di racconti su fantasmi e magia, annodati gli uni agli altri come scatole cinesi. Il libro divenne nella seconda parte del XX secolo un fenomeno quasi di culto per molti appassionati di letteratura simbolico-fantastica, raccogliendo pure l’interesse di una figura importante come Tzvetan Todorov, uno dei principali – insieme al nostro Italo Calvino – ricercatori nell’ambito favolistico. A causa della sua multiformità, non è possibile sintetizzarne esaurientemente e univocamente la trama. Qui sta uno dei meriti del film di Rondalli, l’aver dato un senso completo di quello che è il romanzo, malgrado in un medium, come la Settima Arte, che si avvale di un linguaggio totalmente diverso. Invero, benché la pellicola dovrebbe essere considerata una versione, per la sua capacità di penetrare nel profondo il testo scritto essa possiede le ben più proficue qualità della trasposizione.

E il cinema? Dove è finito nella nostra analisi? Chi si pone siffatte domande dimostra di non essere sufficientemente preparato per affrontare con prontezza la complessità del rapporto tra Letteratura e Cinema. Per converso, Agadah si rivela assolutamente alla altezza di tale gravoso compito, rispettando la fonte da cui attinge spunti senza i quali non esisterebbe.

Parliamo, allora, del film, seppur lo abbiamo già fatto, affrontandone la matrice letteraria. Rondalli ha creato una opera formalmente “pulita”, il cui punto forte sono le location naturali di grande impatto, mostrando quel Sud Italia meraviglioso dell’Alta Murgia; un paesaggio arcaico, di una bellezza crudele e ferace, punteggiato da chiese rupestri. A questa sapiente componente visiva, si aggiunge la potenza del romanzo di Potocki. Una pellicola perciò decisamente da vedere per un pubblico che ama anche leggere e non solo “ingozzarsi” di film.

La capacità di ragionamento di questo cineasta non la si ritrova soltanto in ciò che ha girato, ma anche nelle sue dichiarazioni, le quali provano quanto egli abbia meditato su come un libro possa diventare cinema: “Un film non può mai essere l’esatta trasposizione di un’opera letteraria. C’è sempre un piccolo o grande tradimento nel passaggio, reso inevitabile dall’irriducibile diversità dei mezzi espressivi. E questo è ancor più vero per un’opera infinita come il Manoscritto”.

Agadah rafforza l’idea che vede la buona funzionalità delle cosiddette “storie circolari”, con i loro incastri e salti temporali; un fenomeno narrativo che sempre Calvino avrebbe definito “molteplice”. Il sommo scrittore ligure spiegò nel suo Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (1988) che tutto può essere inteso come un groviglio di reti e relazioni in Letteratura. Un aspetto, questo, che va capito e gestito, altrimenti si rischia una incompiutezza semantica. Per tale motivo, Calvino intendeva completare il suo discorso sulla scrittura con un capitolo dedicato alla “Coerenza”, che avrebbe dovuto seguire proprio quello sulla “Molteplicità”.

Va fatto notare che il romanzo originale era composto da 66 giornate,  ridotte a 10 nel film. Ciononostante, il regista mantiene le atmosfere del libro, le quali mutuano quelle del Decameron (1349 – 1351) di Boccaccio e del Don Chisciotte della Mancia (“El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha”, 1605 – 1615) di  Miguel de Cervantes Saavedra, con pure delle influenze orientali riconducibili alle Mille e una notte (“Alf laila wa laila”, secc. XV – XVIII). Tale è la importanza tributata in questa pellicola alla fonte letteraria, che Rondalli, al momento della conferenza stampa, ha parlato quasi esclusivamente dell’opera di Potocki, e noi ci siamo qui sentiti di sposare appieno la sua posizione.

Dal film Agadah

Agadah è utile per accorgersi della ordinarietà del fantastico, di come mito e fiaba siano elementi imprescindibili della essenza stessa della Letteratura. Da sin troppi anni, purtroppo, i sepolcri imbiancati della critica ufficiale italiana, e non solo, sostengono il dogma della realtà, sminuendo con sicumera quello che tecnicamente si chiama “non mimetico”, associando al vero un sedicente impegno politico. Niente di più inutile, anzi, diciamo che trattasi di un atteggiamento dannoso. La narrazione, vuoi letteraria vuoi cinematografica, abbisogna dell’aspetto favolistico – che sia chiaro mai dovrebbe essere inteso come infondato – poiché è la radice della umana caducità; ce lo insegnano tutte le religioni. Questo Potocki lo aveva capito, come spiega il critico Pietro Citati in suo articolo di qualche tempo fa: “Se la Storia fallisce, il Racconto trionfa sul fallimento di ogni cosa umana, ed è l’unica realtà dell’universo.” (Jan Potocki, lo scrittore che sfidò l’universo, Repubblica, 19 giugno 1990).

*Agadah anno: 2017, Nazionalità: Italia, Durata: 126′, Genere: fantastico, Regia: Alberto Rondalli, Distribuzione: RA.MO, Uscita: 16 novembre 2017

@barbadilloit

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati su Barbadillo.it

Exit mobile version