Il caso. Non si censura un Artefatto. Contro la follia degli algoritmi braghettoni del web

Théodore Géricault – La Monomane de l’Envie, aussi appelé la Hyène de la Salpêtrière (vers 1820). Musée des beaux arts de Lyon.“Purché si evitasse ogni scherzo su Dio, sui preti, sulle persone altolocate, sugli artisti protetti dalla corte, su tutto ciò insomma che rappresenta l’ordine stabilito, purché soprattutto non si parlasse mai di politica, si poteva chiacchierare liberamente di qualunque cosa.” – Stendhal

 

Solo qualche giorno fa Facebook ha rimosso dalla bacheca del suo autore, Donato Novellini, e dalla pagina della nostra rivista l’Artefatto  dedicato alla “Metafisica della Puttana”. Un saggio che nemmeno parla di erotismo ma che ebbe la colpa imperdonabile di esser corredato da una stupenda foto di nudo d’epoca. Su questo increscioso quanto ridicolo episodio, l’autore e la redazione di Barbadillo.it, hanno deciso di spendere qualche parola. Non per vittimismo fuori luogo, né per discolparsi di imputazioni immaginarie, ma solo per dovere nei confronti dell’intelligenza dei lettori della rubrica e di questa rivista. 

Novellini. La recente censura, applicata dal cervellone di Facebook nei confronti dell’Artefatto dedicato alla Metafisica della Puttana, mi offre l’occasione per esprimere alcune considerazioni sul tema, ammesso e non concesso che tali osservazioni possano ancora essere veicolate liberamente, attraverso la popolare piattaforma blu. Perché, a questo punto, non è affatto scontato il criterio col quale immagini e opinioni vengono oscurate. L’articolo in questione, già pubblicato nel maggio scorso senza noie, anzi trovando apprezzamento, tra gli altri, dell’autore del libro recensito, era ed è corredato da una vecchia cartolina d’epoca: bianco e nero ritraente una signorina licenziosa, civettuola, accomodata su chaise longue; con tutta probabilità una cocotte, immortalata a seno nudo in salotto, sorridente, paffuta e indolente.

Barbadillo. Non osavo sperare di meglio, da redattore di una piccola rivista che sgomita nella bonaccia dell’internet. Un giorno ti svegli e scopri che il signor Zuckemberg ha deciso di inserire  un articolo, tra l’altro un Artefatto pregevolissimo ma non sta a me dirlo, nella lista nerissima della pornografia. Con tanto di avviso a caratteri cubitali: una cosa che suona tipo “noi collaboriamo con la polizia per garantire la migliore esperienza possibile su questa piattaforma”. Povera cocotte, scampata ai gendarmi del tuo tempo, ai bacchettoni della tua epoca, solo per finir stritolata dalle vampate sterili della menopausa algoritmica e pretenziosa della BuonCostume postmoderna, dei segnalatori impotenti che, all’erezione che manca, sostituiscono la predica alla rigidità dei costumi. Degli altri.

 

NovelliniAntiquariato seduttivo. Uno di quei sorrisi percepiti come maliziosi agli albori del secolo scorso, ora ispirante null’altro che tenerezza, addirittura candore; quantomeno se paragonato all’aggressività edonista o all’ostentazione sacrificale delle fotogeniche carni, presenti senza remore sul bigotto social network. Prendiamo ad esempio il caso dell’artista performativa Milo Moire, che risolve l’inghippo applicando tre coriandoli neri ai suoi nudi integrali. Un trucco che ci fa domandare: il problema è dunque il capezzolo in sé o è solo un gioco di pixel? O forse quel soft-porno plasticato, mascherato d’avanguardia disinibita, ha talmente poco da dire che lo si tollera, secondo puritana regola made in U.S.A.?  Temo vi sia molta clemenza, nelle alte sfere della comunicazione, riguardo alla banalità di prodotti a scandalo controllato, riecheggianti atti di rottura clamorosi, ma come edulcorati in un’estetica da centro commerciale totale. Prima il filtro, effetto levigato, parco giochi per mutanti, replicanti, golem dell’impalpabile mondo nuovo.

Barbadillo. Negli anni ’70 c’erano le stelline nere che coprivano le nudità procaci di sgallettate, attricette o di vere e proprie superstar dell’editoria pornografica. Quelle stellette (già, proprio roba da caserma) erano i gradi massimi dell’osceno: stavano lì a indicare il proibito, la soglia da non oltrepassare per non far peccato. Quella lercia soglia allo “sporco” che diventava essa stessa sporca, era la più potente delle trasgressioni. È una questione che, in altri termini, aveva già scandagliato Leopardi. È stabilendo un limite che si spinge a fantasticarne l’au-delà, a lanciare l’occhio affamato e bulimico oltre la siepe. Facebook, affidandosi alla cecità imparziale dei suoi algoritmi, non distingue un nudo artistico, o magari una madre che allatta, da una scena hard. Crea pornografia, inventandosela di sana pianta, pervertendo il perverso.

 

Novellini.Tornando al fatto. Avendo nulla da obiettare sulla condotta personale, dato che i confini del buongusto restano appannaggio del singolo, mi chiedo a chi possa aver recato offesa quell’erotismo d’antan. Non era abbastanza pornografica? Non quanto la retorica di un politico, qualsivoglia. Segnalazione anonima come da prassi, e già l’aver trovato tempo e voglia per scomodarsi a questo tipo di denunzia, pone il suggello dell’idiozia democratica imperante, dell’egualitarismo mortificante che rende equiparabile un saggio critico alla foto di un gatto. Certo, si dirà ostentando pratica di mondo, che non sono certo il primo, il più noto e nemmeno l’ultimo a patire censura. Avendone consapevolezza e valutandola anzi medaglia, non perderò tempo a cincischiare con vittimismo, avvocature, strappamenti di vesti.

Barbadillo. Qualche mese fa, sui media angloamericani, imperversò un audace dibattito. Che ben presto si ridusse a pezzettini estorci-clic del tipo, “le dieci cose contraddittorie degli americani in fatto di sesso e violenza”. Non scopre Barbadillo.it che negli Usa – al di là di tutta la cinematografia bambinesca e rinunciabilissima dei ragazzotti al college – sono così bacchettoni che a confronto le vecchine pettegole dei nostri più intimi paeselli hanno la potenza delle libertine d’amplissime vedute. Non si spiega, altrimenti, la forza perturbatrice che (dicono abbia) la signorina Miley Cyrus, quella ragazzina che si dondola nuda (ma ben attenta a non far vedere nulla che possa scandalizzare gli algoritmi) su una palla da demolizione. Per farla breve, il perbenismo nostrano (già insopportabile, stantìo e umido) sta andando a ripetizione dai puritani americani, quelli che fanno petizioni affinché un Museo rimuova un quadro ritenuto troppo malizioso. In Paradiso andranno loro, che sono i più bravi e i più iconoclasti. San Pietro dovrà irrigidire gli standard d’entrata.

 

 Novellini. Certo è che una riflessione riguardante un prezioso libro di nicchia, rilasciato da un’adorabile casa editrice lontana da consorterie – sarà pure il caso di rivalutare ciò che è di nicchia, ovunque si collochi, soprattutto se rapportato allo scadente livello di quello che ci viene propinato come popolare e omologante – frutto di studio e di lavoro critico, condivisibile o meno, viene automaticamente espulsa dalla Repubblica virtuale per una tetta di cent’anni fa. E allora? Marina Abramović, gli scatti di Helmut Newton, Salò di Pasolini, Il portiere di notte della Cavani, Tinto Brass, Tokio decadence, i libri di Sade, Genet, Bataille, Cocteau, Réage, Nin, i dipinti lussuriosi di Saturno Buttò, tutti banditi? Mantenendo fermo il punto che quel pezzo nemmeno trattava d‘erotismo, ciò che inquieta è l’ottusa irrevocabilità di un gesto proibizionista così idiota. Difatti, in questa società traumatizzata, anestetizzata e al contempo ipersensibile, l’oscenità non è mai nell’immagine, nel pretesto iconico, bensì nella parola. Per questo tutti gli irregolari del ‘900 – i vari Céline, Bene, Drieu, Mishima, Cioran, etc, – sono stati miniaturizzati a forza; sono divenuti, nel nostro tempo che sa tutto e niente, icone tra le altre, inutili vezzi per un anticonformismo posticcio, confusi nel relativismo e nell’ignoranza totale, nei copiaincolla da aforismi, depotenziati proprio nei loro abissi d’alterità riguardo alla regola.

L’immagine proibita

Barbadillo. Non osavo sperare di meglio, scrivevo più su. Non interessa a nessuno sbracciarsi, strepitare, chiedere al Caro Algoritmo di riesaminare con maggior attenzione e paterna clemenza il suo insindacabile verdetto. Non abbiamo alcuna intenzione di indulgere al vittimismo acchiappaclic e nemmeno di fare lezioncine a nessuno. Però la soddisfazione di lanciare una bella risata sul grugno della superba rivoluzione di internet, lasciatecela. In questa ridicola avventura si rivela, una volta di più, quanto sia grottesco l’umanesimo da tre dollari al chilo che, luccicanti gli occhi, ammanniscono i Guru della Silicon Valley. Non c’è manco bisogno di tirare in ballo il “solito” Orwell. Saremo tutti uguali, di fronte a un algoritmo imparziale nella sua ottusità. Tutti nella stessa cella culturale, i maniaci e i pornomani: Prassitele, Botticelli, Velazquez, il Mercenario di Lucera e il mostro di Milwaukee. Con l’unico risultato di nobilitare noiosi rattusi, scribacchini senza idee che giocano a fare i trasgressivi (e magari farne dei nuovi Houellebecq quando non sono manco la guallera di Lialà).

L’Artefatto Proibito (dai social), correrà di mail in mail. Sarà sussurrato di chat in chat, correrà velenosissimo come un novello Samidzat. Anzi, spero che ogni Artefatto (e ce ne sono finora 84!) condivida lo stesso destino. Perché Donato Novellini è un mestatore, un pericoloso sovversivo, innamorato ruvido dell’arte e dell’autentica cultura nell’era gommosa, ignorante e presuntuosa che ci è capitato in sorte di vivere. Ogni epoca ha i suoi mostri, i nostri sono davvero brutti.

 

NovelliniIl guaio sta proprio nella camomilla culturale, nel torpore da workshop, nei convegni nei quali ci dà ragione tra già accordati, nella compulsiva sonnolenza degli onniscienti, nei premi letterari, nelle vittorie che durano come il mangime nella palla dei pesci rossi. Ecco allora che una tetta seppiata e la parola Puttana nel titolo, paiono sufficienti per opporre un decreto d’espulsione. Quindi è con orgoglio che rivendico le peculiarità, talvolta contorte, della rubrica Artefatti. Perché quello spazio si pone in controtendenza, non di questa o quella parte o corporazione, ma del tempo misero che ci troviamo a vivere.

@barbadilloit

 

 

Donato Novellini - Giovanni Vasso

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