Cultura. “Campo Hobbit 1977” di Comelli e l’intuizione (sempre attuale) dei giovani neofascisti

La copertina del saggio "Campo Hobbit 1977"
La copertina del saggio “Campo Hobbit 1977”

Il 1977, in un’Italia lacerata dagli anni di piombo, fu per l’area dei giovani neofascisti organici al Msi la stagione del consolidamento di intuizioni che segnarono un cambio di passo. Interpretando lo spirito del tempo, l’area più eretica del movimentismo – grazie alle intuizioni operative e culturali di Generoso Simeone e Marco Tarchi – lanciò la formula Campo Hobbit per certificare la scelta di nuovi orizzonti, la rinnovata attenzione per la metapolitica e per sottoculture giovanili. Si ebbe la netta sensazione che tutto l’armamentario primo novecentesco potesse essere superato e sublimato con una impostazione che – conservando i punti cardinali per una visione del mondo differente – consentiva di lanciare un ponte verso le inquietudine (tutte da interpretare) delle nuove generazioni.

L’accelerazione impressa all’area neofascista dai Campi Hobbit è figlia di un tempo distante e passato, ma conserva l’efficacia di un metodo, ovvero la ricerca di essere protagonisti nell’attualità, ricercando un lessico e un canone – quello tolkieniano tra gli altri – per incidere. L’esperienza di Montesarchio, nel 1977, non cambiò il Msi ma incarnò il desiderio di rifuggire la comoda marginalità autocompiacente di certi radicalismi da un lato e di certi individualismi, dall’altro.

Nel saggio “Campo Hobbit 1977”, con il sottotitolo “Quando i giovani di destra fecero il ’68”, curato da Pietro Comelli e arricchito dai saggi di Luciano Lanna (quadro socio-culturale) e Giovanni Tarantino (autore di un focus sulla musica a destra in quegli anni, da Sergio Caputo ai gruppo alternativi), si ritrovano, accanto ad una straordinaria antologia fotografica del raduno beneventano con documenti e una cronologia dell’anno in questione, le intuizioni che sottesero all’esperimento, tutt’altro che pulsioni di egolatria, non fosse altro per gli effetti politici che hanno generato sull’immaginario politico e comunitario nei decenni successivi, fino a conquistare spazi di legittimità sui media mainstream. Insomma sotto la celtica del Campo Hobbit, parafrasando un titolo malriuscito de La Lettura del Corriere della Sera, c’era tanto, ovvero una generazione in prima linea in politica (tra terrorismo e repressione), alla ricerca della costruzione di una piattaforma di sogni e programmi per cambiare. E questo desiderio chissà che non possa ri-sbocciare come un fiore nella povera Italia dei nostri giorni.

*”Leggete Tolkien, stolti! Campo Hobbit 1977. Quando i giovani di destra fecero il ’68” di Pietro Comelli (con saggi di Luciano Lanna e Giovanni Tarantino), pp.130, Spazio In Attuale editore

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