La storia. Addio a Giose Rimanelli autore del romanzo sulla Rsi “Tiro al piccione” e amico di Malcolm X

”Marco Laudato”, (alter ego di Giose Rimanelli), il personaggio principale di “Tito al piccione” di Giuliano Montaldo, interpretato da Jacques Charrier, che era allora (1961) marito di Brigitte Bardot
”Marco Laudato”, (alter ego di Giose Rimanelli), il personaggio principale di “Tito al piccione” di Giuliano Montaldo, interpretato da Jacques Charrier, che era allora (1961) marito di Brigitte Bardot

L’Italia che poteva essere e non è stata

La frazione neofascista di Repubblica Sociale confluita, dal 1945, nel Psi e nel Pci è rimasta pura testimonianza. Quella confluita nella Dc, nel Pli e nel Msi ha avuto invece modo di raggiungere posizioni di potere o sottopotere non come neofascismo, ma come estrema destra prima, come destra sbiadita poi. La recente scomparsa di Giose Rimanelli, classe 1925, offre l’occasione di un esame di ciò che potevano essere e non sono state. Per esempio, Tiro al piccione di Rimanelli poteva essere il romanzo di una generazione, mentre oggi è solo un titolo di libreria, meno venduto di A cercar la bella morte di Carlo Mazzantini, apparso nel 1986 da Mondadori, del quale si è scritto oltre misura.

C’è un perché. Cesare Pavese era stato mandato al confino nel 1936. Tornato a Torino, aveva cercato di dimenticare la polizia del Regno d’Italia. Per gli ideali della Repubblica Sociale aveva invece simpatizzato, come si intuisce da uno dei suoi racconti e si è saputo molto più tardi dai diari, a lungo censurati. Nel 1950 Pavese stava per far pubblicare il romanzo di Rimanelli da Einaudi. Ma Pavese morì e Italo Calvino e Natalia Ginzburg allontanarono il romanzo dalla casa editrice più prestigiosa del momento. Tiro al piccione apparirà così solo nel 1953 da Mondadori. Per Rimanelli fu uno smacco. Col marchio Einaudi, il suo sarebbe parso un libro di idee vissute; col marchio Mondadori parve puro reducismo. E poi quell’opera non era stata scritta per la borghesia. Suo vero interlocutore erano gli ex partigiani di fede azionista e comunista, che nell’Italia della Dc erano vinti quanto Rimanelli lo era nel 1945.

“Il sergente Elia”, interpretato da Francisco Rabal in “Tiro al piccione” di Giuliano Montaldo (1961)

Rimanelli non è sopravvissuto nel rancore. Ha ampiamente combattuto e passabilmente ucciso, così se ne è tolta la voglia e non sogna un’altra guerra civile nei giorni del referendum istituzionale o in quelli dell’attentato a Togliatti e ancor meno dopo (vedi piazza Fontana e derivati), a differenza di altri, dediti al miraggio della rivincita fino agli anni Settanta. Era anche questione di temperamento: più giovane di cinque anni rispetto a Rimanelli, Piero Buscaroli non spara un colpo per la Rsi, ma ricorderà sempre con rabbia di non averlo fatto. Più giovane di nove anni rispetto a Rimanelli, Franco Cangini nel 1945  ha ucciso una volta sola, per salvarsi; dopo di allora, perché qualcuno s’accorgesse che “il 25 aprile non è festa” per lui, occorre la notizia della recente sepoltura in camicia nera per ricondurlo a quel passato, un atto di fede dai precedenti anche postbellici: Mario Gramsci, fratello fascista (“federale” di Varese) di Antonio; Dino Ferrari, figlio di Enzo; uno de fratelli di Giuseppe Roncalli, alias Giovanni XXIII; Hugo Pratt, che s’è disegnato, come Corto Maltese, una vita di rimpiazzo.

Giuliano Montaldo, regista di Tiro al piccione, appassionato del Genoa

Ma restiamo a Rimanelli. Nel dopoguerra rischia comunque l’emarginazione. Sfuggito alla prigionia, torna nel natio Molise solo per il tempo occorrente a trasferirsi a Roma per insegnare dai gesuiti. Diventa redattore del quotidiano para-comunista La Repubblica d’Italia. Quindi va a Milano-Sera (critico cinematografico: Dino Risi). Poiché con la stampa del Pci si fa la fame, Rimanelli scrive tesi di laurea per studenti cospicui e svogliati, finché Luciano Oppo, figlio di un artista di prima grandezza e futuro direttore di Playmen, non lo fa entrare alla Gazzetta del popolo di Torino, quotidiano dc, dove Rimanelli diventa amico di Giorgio Bocca e Angelo Del Boca: meno di dieci anni prima quei due l’avrebbero preso a fucilate…

Lato cinema, che negli anni ’40 e ’50 conta come oggi conta la Tv, Rimanelli collabora a Achtung banditi di Carlo Lizzani (1950), film con Andrea Checchi e Gina Lollobrigida, dove i partigiani comunisti genovesi sono patrioti, non rivoluzionari; poi sceneggia La lupa di Alberto Lattuada (1953, non accreditato) e Suor Letizia di Mario Camerini, con Anna Magnani. E nel 1961 proprio Giuliano Montaldo, che nel cinema ha esordito nel ruolo di partigiano rosso in Achtung banditi, dirige il film tratto da Tiro al piccione: l’alter ego di Rimanelli è “Marco Laudato”, il personaggio di Jacques Charrier, nella realtà marito di Brigitte Bardot; quello di Francisco Rabal è il sergente Elia, amico della vita di Rimanelli; poi ci sono Eleonora Rossi Drago, Sergio Fantoni e Carlo D’Angelo, ex dirigente dell’Eiar di Milano nel 1944-45, quella diretta dal giornalista Cesare Rivelli, futuro padre di Ornella Muti.

I film non raccontano mai storie per caso: precedono o seguono l’attualità politica. L’occasione per Tiro al piccione è politica, con la coalizione all’Assemblea regionale siciliana tra Msi e Pci in funzione anti-Dc; ed è storica, con il centenario dell’unità nazionale e con il ventennale dell’entrata in guerra dell’Italia. Senonché l’esperimento milazziano in Sicilia viene sabotato da Arturo Michelini, segretario del Msi, che ha fatto quel giro di valzer col Pci solo per ingelosire la Dc. Così nel giugno-luglio 1960 Togliatti raccoglie l’invito (in forma riservata) di Aldo Moro per silurare coi disordini di piazza il governo monocolore Dc, con sostegno esterno del Msi, di Fernando Tambroni.  Morale: un film ideato per riconciliare a livello nazionale Pci e Msi esce in ritardo di un anno sulla realtà.

C’è ormai aria di centrosinistra, cioè coalizioni tra Dc e Psi. Quando Tiro al piccione appare alla Mostra di Venezia, ne fa le spese, stroncato dalla stampa dello stesso Pci che l’ha voluto e preso sottogamba dagli altri. La carriera di Montaldo subisce un colpo duro, mentre Rimanelli è sospinto sui lidi dell’estrema destra. Diventa critico letterario de Lo Specchio, settimanale edito indirettamente da Giulio Andreotti e diretto da un americano di Roma, Giorgio Nelson Page. Pudico, Rimanelli firma “A.G. Solari”.

Giose Rimanelli, in una foto dei nostri giorni

Nel 1960 Rimanelli parte, va a lavorare al Cittadino canadese, e – dopo difficoltà per il visto, originate dall’aver collaborato al settimanale del Pci, Rinascita – raggiunge gli Stati Uniti. Qui, emulo di Giuseppe Prezzolini, insegna all’Università dello Stato di New York, ad Albany. Nei decenni seguenti avrebbe scritto per la tv (anche un paio di puntate di Love Boat recano la sua firma), raggiungendo il benessere. Senza dimenticare gioventù e ideali non retrivi della “Tagliamento”, tanto da diventare amico di un politico statunitense insolito: Malcolm X.

@barbadilloit

Maurizio Cabona

Maurizio Cabona su Barbadillo.it

Exit mobile version