Cultura (di E.Nistri). Folco Quilici, il Salgari del documentario e la memoria del padre morto (con Italo Balbo) in Libia

Folco Quilici
Folco Quilici

Italo Balbo e Nello Quilici, abbattuti dal “fuoco amico” nel cielo di Tobruch, lasciarono due orfani di indole molto diversa, rispettivamente Paolo e Folco. Li divisero sensibilità personali e, almeno per qualche tempo, scelte politiche. Li avvicinò una lunga sim-patia, nell’accezione etimologica di solidarietà nella comune sofferenza, e la fedeltà al legato morale dei genitori. Paolo Balbo, avvocato, spese la sua vita alla difesa della memoria del padre, di cui condivise la passione per l’aeronautica. Lo conobbi nel 2008 proprio perché informalmente incaricato da lui di verificare le eventuali inesattezze sul conto del padre che a un facondo ma a volte superficiale divulgatore sarebbero potute sfuggire al caffè letterario della “Versiliana”. Folco Quilici  seguì altre strade, coniugando la vocazione giornalistica paterna e quella artistica della madre Emma Buzzacchi, pittrice. Divenne uno dei maggiori documentaristi mondiali, sfiorò l’Oscar nel 1971 con un cortometraggio sulla Toscana, scrisse libri fortunatissimi e contribuì a fare amare la natura agli italiani con la popolare serie televisiva “Geo”. Fu, com’è stato scritto, il Salgari del documentario, un precursore dell’ambientalismo, dai cui eccessi fondamentalistici avrebbe preso in seguito le distanze. Collaborò con Fernand Braudel, Sabatino Moscati e Renzo De Felice, mentre non poté mai sopportare Cousteau. Ma questo è stato detto e ridetto nei molti “coccodrilli” che hanno fatto seguito alla sua morte.

Figlio di Nello Quilici

Ai lettori di “Barbadillo” può interessare un altro aspetto della sua personalità: il rapporto col padre e con la sua atroce e precoce scomparsa. Nello Quilici non era stato solo un amico di Balbo e il direttore del suo quotidiano personale, il “Corriere Padano”. Era stato un giornalista di successo, che non doveva la sua carriera al fascismo, tanto che aveva collaborato in gioventù alla “Voce” di Prezzolini e già nel 1921 era direttore del “Resto del Carlino”. Era stato un fine letterato e un saggista all’epoca molto apprezzato. La terza pagina del suo quotidiano fu una delle più aperte e libere del Ventennio, ospitando fra l’altro gli articoli di Giorgio Bassani, Ernesto Buonaiuti, Luigi Preti e Michelangelo Antonioni, che ne fu il critico cinematografico e da cui il piccolo Folco, che all’epoca aveva dieci anni, apprese la morte del padre. Nello Quilici fu anche uno dei pochi direttori di quotidiano nell’Italia fascista ad avere il coraggio di esprimersi contro il patto Ribbentrop-Molotov. Non fu invece ostile alle leggi razziali, e questo è stato causa di un’ingenerosa polemica quando l’università di Ferrara istituì un premio alla sua memoria. Eppure Bassani, che in quanto ebreo avrebbe potuto avere validi motivi di risentimento per il giornalista, ebbe parole generose di condoglianze col fratello maggiore di Folco, Vanni, in occasione della scomparsa di Nello: “Caro Vanni – gli scrisse – ero legato a tuo padre con vincoli di amicizia e gratitudine… Il giorno stesso che partì per la Libia… fui a casa tua… e ti giuro che mai mi parve come allora tanto ricco di umana bontà, tanto generosamente libero nei suoi giudizi, tanto amico”.

Il saggio di Folco Quilici “Tobruk 1940”

La tragica scomparsa del padre segnò la vita di Quilici. Per molti anni, come avrebbe ricordato nel suo saggio Tobruk 1940, fu  convinto che l’abbattimento dell’aereo su cui viaggiavano Italo Balbo e suo padre, capitano di complemento dell’Aeronautica Militare richiamato, fosse stato voluto da Mussolini, geloso dell’enorme popolarità del trasvolatore oceanico e preoccupato per la sua ostilità all’entrata in guerra dell’Italia. Senz’altro Mussolini non portò il lutto per la scomparsa del potenziale rivale, come scrisse lo stesso De Felice, ma di qui a sostenere che ne abbia voluto la morte il passo è lungo. Folco invece lo pensò e si debbono forse anche a questo, oltre che al condizionamento dell’egemonia culturale comunista e al vento di follia che percorse l’Italia dopo il ‘68, certe sue scelte politiche, come la sottoscrizione della lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli, pubblicata il 13 giugno 1971, un anno prima dell’assassino del commissario Calabresi. 

Sulla tragedia di Tobruch, ma anche sul fascismo e, di riflesso, sulla figura del padre, Folco Quilici avrebbe cambiato in seguito opinione, come testimonia, oltre al già citato volume, una singolare intervista concessa a Francesco Algisi per la rivista telematica archiviostorico.info. Oltre a dichiararsi del tutto persuaso dell’ipotesi dell’incidente, anche perché la contraerea italiana aveva appena finito di intervenire contro un bombardamento inglese, Folco avanzava un’ipotesi interessante, che aiuta a capire il perché della rotta scelta da Balbo per il suo volo. In base a essa il maresciallo dell’Aria si stava recando in incognito ai confini con l’Egitto, per prendere contatto con alcuni giovani ufficiali ostili agli inglesi, che avrebbero dovuto organizzare una rivolta contro il controllo britannico su quello Stato formalmente indipendente, ma in realtà soggetto all’egemonia di Londra, al punto da essere costretto a perseguitare la fiorente colonia italiana. Quanto al giudizio sul fascismo, Quilici Jr riconosceva a Mussolini il merito di aver “saputo riorganizzare un Paese allo sbando”, pur prendendo le distanze dalle sue scelte illiberali e dall’alleanza con Hitler. E ricordava Balbo, che aveva conosciuto da bambino, come “una persona molto simpatica, sempre di buon umore, molto scherzosa”.

Quando morì Paolo, nel dicembre del 2017, Folco rimase profondamente scosso per la scomparsa di quel coetaneo che considerava un fratello. Per tutta la vita aveva conservato fra le cose più care la foto che ritraeva entrambi in viale Cavour, a Ferrara, insieme ai loro genitori. E al ricordo, forse, di un’Italia migliore.

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Enrico Nistri

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