Focus (di G.Marocco). Macron, gran censore di Francia: l’Affaire Charles Maurras

Maurras
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Oddio, proprio grande magari no, non facciamo di una pochade una tragedia greca, di un paggio portaordini un San Roberto Bellarmino, ma un censore ligio e scrupoloso questo sì. È Emmanuel Macron, già ministro di Hollande e dirigente della Banca francese Rothschild & Cie, che la “grande Lobby” ha poi voluto all’Eliseo, aiutandolo in molti modi, ed adesso non perde occasione per ricordargli e tracciargli il cammino da percorrere… Il giovane Presidente dalle mossette leziose e viso da cherubino – con l’anziana maestra-moglie Brigitte, dalle secche gambette scoperte,  sempre al suo fianco – ha fornito ultimamente due saggi, probabilmente non gli ultimi, della sua elastica schiena, sempre prona ai Diktat del pensiero unico, politicamente corretto, globalizzatore, multiculturale e multitutto, pro LGBT.

Qualche settimana prima era scoppiata la polemica su Céline, alla notizia che l’editore Gallimard preparava la riedizione, sia pure con un adeguato apparato critico ed esplicativo, dei tre pamphlet antisemiti dello scrittore maudit: “Bagatelles pour un massacre”, “L’École des cadavres” e “Les Beaux Draps”, scritti tra il 1937 ed il 1941. Cedendo alle pressioni, soprattutto della Presidenza della Repubblica, Gallimard ha dovuto rinunciare al progetto.

Volume di oltre 300 pagine, pubblicato dalle Éditions du patrimoine, il Livre des commémorations nationales, è un catalogo di date significative della storia francese, delle quali ogni anno fornisce l’occasione per un ricordo particolare. Il 150mo anniversario della nascita di Charles Maurras faceva parte della lista, come la morte di Simon de Montfort, capo della crociata contro gli Albigesi (1218); la  morte di Nicolas Flamel, alchimista (1418), la nascita di Roger de Bussy-Rabutin (1618), la pubblicazione delle “Fables” di La Fontaine (1668), la cessione della Corsica alla Francia (1768), l’armistizio dell’11 novembre 1918, i Giochi Olimpici d’Inverno a Grenoble del 1968 ecc. Le Haut Comité è stato istituito nel 1998 con la finalità di consigliare il Ministro della Cultura e della Comunicazione su obiettivi ed orientamenti delle celebrazioni nazionali.

Ma varie organizzazioni per ‘la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo’ hanno lanciato alti guaiti. E così il Ministro della Cultura, Françoise Nyssen, belga naturalizzata francese, ha deciso, lo scorso 28 gennaio (2 settimane dopo il veto alla ristampa dei 3 pamphlet di Céline), di ritirare il Livre des commémorations nationales 2018, per ristamparlo senza il nome del teorico del «nationalisme intégral».

Il giovane Frédéric Potier, da poco nominato Préfet et délégué interministériel à la lutte contre le racisme, l’antisémitisme et la haine anti-LGBT, ha così vinto la sua battagliuzza, strillando per primo ed eseguendo a puntino gli ordini dell’Eliseo!

Non è neppure stato il primo caso, essendo stato preceduto nel 2011 da Fréderic Mitterand (il nipote gay di François, allora Ministro della Cultura di Hollande) quando il libro si denominava “celebrazioni nazionali”, al posto del più neutro “commemorazioni”, che  in quell’anno, essendo risuonato rumorosamente lo shofar, espunse dalla pubblicazione il nome di Céline, morto 50 anni prima.

Ma ora succede l’imprevisto. L’inizio dell’Affaire Charles Maurras.

Mercoledì 21 marzo 2018, dieci dei dodici membri dell’ Haut Comité des commémorations nationales hanno annunciato le proprie dimissioni in una Lettera Aperta al Ministro della Cultura, Nyssen, considerando che la recente decisione assunta impediva di continuare a svolgere il loro compito: “Vous comprendrez que, dans ces conditions, nous ne puissions continuer à siéger avec, en permanence, la menace soit de la censure soit de l’autocensure”. No alla censura, nè all’autocensura: con questa chiara motivazione si è così dimesso in blocco l’Alto Comitato, in segno di protesta per la decisione di rimuovere il nome dello scrittore e politico Maurras dal “Livre des Commémorations nationales 2018”. Dieci nomi illustri e rispettati.

Jean-Noël Jeanneney, eminente storico e membro dell’Haut Comité, aveva non di meno tentato un altro approccio, non per difendere le idee di Maurras, ma piuttosto la sua presenza nell’ormai famoso libro: “Tutto ciò è la conseguenza di una forma d’anacronismo: il Re San Luigi, antisemita, islamofobo ed omofobo, merita che gli sia dedicata una via? È corretto applicare il nostro punto di vista al passato? O il pubblico è abbastanza  adulto per valutare che in certi momenti della storia esistevano diverse sensibilità rispetto alle nostre attuali?”

L’eco dell’Affaire Maurras è stato comunque ampio. E non è probabilmente stato chiuso con il “Lit de justice” dell’inquilino pro-tempore di Rue du Faubourg Saint-Honoré…

Affaire Dreyfus; (petite) affaire Maurras.

Charles Maurras ha significato nel secolo XX, più di ogni altro, l’idea di controrivoluzione. Come Burke, de Maistre, de Bonald, Chateubriand. Le idee maurrassiane risultano imbevute dall’idea di decadenza, già sviluppata da Ernest Renan e Hippolyte Taine. Maurras sentiva che la Francia aveva perduto la sua grandeur durante la Rivoluzione dell’89, grandezza ereditata dalle radici romane e realizzata dai quaranta sovrani che regnarono in terra gallica.

Il pensiero maurrasiano proponeva la restaurazione di un inedito Stato monarchico, senza sentimentalismi legittimisti. L’Action française di Maurras non si confondeva con l’antico movimento realista tradizionale, nostalgico dell’ancien régime. Lo scrittore concepisce una combinazione di nazionalismo, che fino al ‘caso Dreyfus’ era sinonimo di repubblicanesimo e di giacobinismo, con il realismo ed il  cattolicesimo. Egli riteneva essenziale il potere della Chiesa per la coesione del Paese, era uno strenuo  difensore dell’ordine religioso, pur senza avere fede, ed uno dei pensatori più influenti del proprio tempo. Uno degli importanti teorici del ‘pensiero antimoderno’ ben oltre le frontiere francesi, un po’ in tutto l’Occidente.

   Il capo del Governo portoghese Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970) fu, ad esempio,  assai influenzato dal pensiero maurassiano, contro il liberalismo e contro i totalitarismi, anche senza giungere ad una restaurazione monarchica. In Spagna la sua ascendenza si mantenne durante il franchismo e nell’attualizzazione dell’ideario monarchico operata dai Círculos Monárquicos prossimi al Conte di Barcellona, Juan de Borbón, avendo tuttora seguaci all’interno del Partido Popular. L’influenza di Maurras  fu notevole nell’elaborazione della dottrina fascista in Italia ed arrivò in Messico, Brasile ed Argentina, dove persiste ancora oggi. Lì ebbe un influsso importante e trasversale su Matías Sánchez Sorondo ed altri prominenti esponenti del nazionalismo antitotalitario degli anni Venti e seguenti.

Nato nel 1868 nel seno di una famiglia piccolo-borghese (la Francia profonda) della Provenza, Charles Maurras aveva di fronte a sé un futuro di avvocato o commerciante. Tuttavia due precoci disgrazie – la perdita del padre quando aveva appena otto anni ed una malattia che lo rese sordo ai quattordici, frustrando la sua aspirazione d’entrare alla Scuola Navale – gli servirono da pungolo per coltivare ed affinare le sue doti intellettuali. A seguito di un incontro con lo scrittore nazionalista Maurice Barrès – nel 1894 diventa  collaboratore del giornale La Cocarde – la sua principale passione divenne la  Francia. Soprattutto quando esplose il ‘Caso Dreyfus’.

L’Affaire Dreyfus fu il maggiore conflitto politico e sociale della Terza Repubblica,  che divise il Paese dal 1894 al 1906, a seguito dell’accusa di tradimento ed intelligenza con la Germania mossa al capitano alsaziano di origine ebraica Alfred Dreyfus (1859-1935), il quale era innocente. Il vero responsabile era difatti il colonnello Esterhazy. L’Affaire costituì lo spartiacque nella vita francese tra la sconfitta nella Guerra franco-prussiana e la Guerra Mondiale: costrinse ministri a dimettersi, creò nuovi equilibri e raggruppamenti politici, spinse ad un tentato colpo di Stato. Si crearono e scontrarono, nell’arco di due decenni, due campi profondamente opposti: i “dreyfusardi”, che difendevano l’innocenza di Dreyfus (tra loro si distinse Émile Zola con il suo noto articolo giornalistico “J’accuse”), e gli “antidreyfusardi”, partigiani della sua colpevolezza. L’errore giudiziario venne poi riparato e Dreyfus reincorporato nell’Esercito, ma le sequele del caso durarono a lungo. Anche perchè, oltre il fatto in sé, emersero e vennero a scontrarsi due anime, due concezioni antinomiche della Francia.

Maurras si convertì in un leader degli antidreyfusards. Ed approfittò la contingenza per elaborare il concetto di ‘nazionalismo integrale’.

L’Action française fu il suo movimento politico (che mai si presentò alle elezioni) d’ispirazione monarchica, fondado nel 1898. Il giornale L’Action française vide la luce il 21 marzo 1908, raggiungendo una diffusione di 30.000 esemplari. La Federazione Nazionale dei Camelots du roi era la rete dei venditori dell’organo di stampa, militanti realisti che costituivano pure il servizio d’ordine e la protezione del movimento. Essi furono attivi tra il 1908 ed il 1936. Nelle pagine del quotidiano pubblicarono articoli i più brillanti intellettuali di destra del tempo, come Jacques Bainville, León Daudet e Maurice Pujo. L’Action ebbe successo dove molti altri fallirono durante un secolo e mezzo, al riuscire a sedurre un gran pubblico educato nel pensiero repubblicano, laico e democratico.

Maurras ed i suoi  intellettuali seppero, in particolare, approfittare della grave crisi politica ed economica degli Anni ’20 e ’30. Fino a che papa Pio XI, desideroso di mantenere accettabili rapporti con il Governo di Parigi, ed accontentare altresì altre componenti di quel mondo cattolico, condannò le sue tesi. Molti cattolici allora lo abbandonarono. L’Action Française fu condannata da Pio XI nel 1926. Il 29  dicembre un decreto del Sant’Uffizio inserì nell’Indice dei libri probiti il quotidiano L’Action française e la maggior parte delle opere di Charles Maurras. Il principale rimprovero mosso da Roma era la subordinazione della religione alla politica ed al nazionalismo. Critica piena d’ipocrisia, naturalmente. Tre mesi dopo, l’8 marzo 1927, il Sant’Uffizio proibì ai militanti dell’Action di ricevere i sacramenti. La durezza ebbe i suoi effetti ed il movimento iniziò a perdere adepti, così come il giornale migliaia di copie.

Louis Billot è stato un filosofo e teologo tomista insigne, docente in diverse Università ecclesiastiche. Collaborò alla stesura dell’enciclica Pascendi Dominici Gregis di Pio X, che condannava il modernismo. Ebbe la porpora cardinalizia nel 1911. Criticò la condotta di papa Pio XI nei riguardi dell’Action Française.  Convocato in Vaticano il 13 settembre 1927 e ricevuto in udienza dal Papa, l’udienza fu breve e silenziosa. Pochi minuti dopo il suo ingresso, Billot uscì dalla sala senza zucchetto, anello e croce pettorale: era stato costretto su due piedi a rinunziare alla dignità episcopale e cardinalizia, tornando un padre gesuita semplice. Un evento del tutto inusitato e clamoroso, l’unico del secolo scorso!

 Secondo lo storico israeliano Zeev Sternhell, la culla di nascita dell’ideologia fascista è proprio la Francia a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, anche se appare discutibile l’enfasi posta sull’incontro e sintesi di postulati monarchico-conservatori e proudhoniani :

‘È lì che i maurassiani incontrano i proudhoniani in nome della critica alla Rivoluzione borghese del 1789. E’ sempre in Francia che il sindacalismo rivoluzionario, nato dall’elaborazione filosofica di Georges Sorel, Hubert Lagardelle, Gustave Hervé ed Édouard Berth ed influenzato dal vitalismo irrazionalista del filosofo ebreo Henri Bergson, si incontra con il nazionalismo integrale, monarchico, ma “ateo-cristiano” a base filosofica comtiana, di Charles Maurras. Ed è ancora in Francia che le leghe fasciste, fuoriuscite dalla più conservatrice Action Française, come il Faisceau del maurassiano proudhoniano Georges Valois ed il Parti Populaire Français dell’ex comunista Jacques Doriot, ma anche il neo-socialismo di Marcel Déat, fanno propria l’ideologia economica pianificatrice, il “pianismo”, del socialista belga Henri De Man. La migliore intellettualità francese del tempo civettò apertamente con il fascismo transalpino, dallo scrittore Pierre Drieu La Rochelle al giornalista poeta Robert Brasillach, dal pensatore Thierry Maulnier al romanziere Lucien Rebatet, dal futuro storico cattolico Daniel-Rops al futuro maestro del pensiero liberale d’oltralpe Bertrand de Jouvenel, dal filosofo cattolico Jacques Maritain allo scrittore, anch’egli cattolico, Georges Bernanos, dal visionario nichilista anarco-nazionalista Louis-Ferdinand Céline al medievalista Philippe Ariès e altri ancora. Al clima mistico-politico nel quale emerse il fascismo francese – storicamente i fascismi si sono sempre imposti a seguito di una crisi spirituale ed ad un tempo sociale – un grande contributo, involontario ma determinante, lo diede anche il grande Charles Peguy, soprattutto con la sua opera “La Città armoniosa” nella quale espose le idealità di un socialismo non marxista, ma sindacalista, comunitario, spirituale, molto vicino alle idee di Sorel e Lagardelle, ma anche, per certi profili, a quelle di Maurras. Molti intellettuali, pur non esponendosi troppo, condivisero, segretamente, simpatie fasciste per via del sindacalismo rivoluzionario. Tra questi la filosofa trotskista e “spiritualista” Simone Weil, chiamata ad immaginare l’organizzazione della società francese del secondo dopoguerra, indicò nel suo saggio “La prima radice” una prospettiva di tipo sindacal-corporativo, sebbene anarchico-libertario-comunitaria piuttosto che statalista…’.  (cfr. Luigi Copertino, Patrioti contro globalizzatori. Sul nuovo Lepenismo: radici storiche e prospettive future, in https://www.maurizioblondet.it/patrioti-globalizzatori).

Rifiuto dell’eredità della Grande Révolution in primo luogo. Nell’analisi di Charles Maurras la decadenza della Francia era dovuta a quattro nemici, figli prediletti della Rivoluzione del 1789 : massoni, ebrei, protestanti, democratici. Il nucleo della sua costruzione teorica tende alla ricostruzione di uno Stato monarchico rinnovato, fondato su valori tradizionali: nazione, famiglia, autorità e gerarchia, sotto l’egida di una monarchia tradizionale, ma non assoluta, decentralizzata, e di un nazionalismo integrale, razionale, pragmatico, non etnico e conforme alla concezione francese della nazione. Maurras sviluppa tutta la sua dottrina politica senza una base teocentrica (il diritto divino di Bossuet), così come lo avevano tentato i grandi controrivoluzionari.

L’abilità di Maurras consisteva nel miscelare l’irruenza verbale con la finezza intellettuale. Il suo ‘nazionalismo integrale’ era una construzione teorica attentamente elaborata. Reazionario e tradizionalista sì, ma con una forte influenza positivista – Maurras ammirava Auguste Comte – in quanto egli considerava che la politica naturale non è unicamente basata nella storia e nell’eredità, ma pure nella biologia. È un aspetto fondamentale del pensiero maurrasiano. L’altro è la strumentalizzazione della Chiesa Cattolica. Nonostante il proprio agnosticismo, per Maurras la Francia non si comprende senza la sua matrice cattolica. Il cattolicesimo tradizionale, ovviamente, in quanto i democristiani furono uno dei suoi bersagli favoriti. La restaurazione monarchica del giornalista discende da un progetto pragmatico, non sentimentale. Egli riuscì  nell’impresa, attraendo alla sua causa i liberali Pretendenti al Trono d’Orléans (almeno fino al 1937).  Enorme era la influenza che giunse ad ottenere Charles Maurras nella società del tempo: nel 1938 fu pure eletto membro della Academie Française – fondata dal cardinale di Richelieu nel 1635 la consacrazione suprema, l’«immortalità».

Domenico Fisichella, riprendendo la sua tesi di laurea, ha esemplarmente ripercorso ed analizzato il pensiero maurassiano:

La critica di un “reazionario” al mondo moderno, fautore di una monarchia ereditaria e rappresentativa, ma non parlamentare.  In quanto autorità indipendente, la monarchia è – nell’orizzonte maurrassiano – un’istituzione in grado di utilizzare ogni forza nazionale secondo il suo valore, praticamente senza dispersioni, allo scopo di ottenere il massimo del rendimento. Funzione sinergica, capace di coalizzare grazie alla sua autorità tutti i poteri sociali e politici in vista del bene comune, la monarchia alimenta in se stessa l’attenzione all’interesse generale in ragione dell’ereditarietà… Se l’ordinamento descritto dal pensatore francese esclude la presenza dei partiti, e con essi il pluralismo politico, è invece previsto il pluralismo sociale, con una sua ampia articolazione e con un sistema di rappresentanza di tipo corporativo, tecnico, professionale e territoriale. Al vertice del quadro istituzionale della nazione  è collocata la sovranità regia, che l’autore di Provenza identifica con lo Stato. Quest’ultimo, però, deve intendersi come ente limitato nelle sue funzioni, competenze, attribuzioni: se, nella lettura maurrassiana, le piaghe politiche dell’Ottocento sono state l’anarchia di Stato e una burocrazia padrona di tutto, favorire il ritorno alla monarchia tradizionale significa provocare il crollo della democrazia scaturita dalla rivoluzione del 1789, impedendo – allo stesso tempo – che si apra la strada a qualsivoglia dittatura personale o collegiale. Nel complesso, il modello politico delineato dall’intellettuale transalpino può essere iscritto nella categoria dei regimi autoritari senza partiti. A tali elementi va aggiunto che manca sia la dittatura personale sia la dittatura collegiale. Infine, il re regna, ma non solo: governa, più o meno direttamente, secondo le circostanze. Allorché ci si trova in una situazione di emergenza, spetta a lui agire senza intermediarî nella plenitudo della sua potestas; non appena la crisi ritorna sotto controllo, la monarchia riapre gli spazî della libertà. Maurras è convinto che questo meccanismo di autocorrezione sia del tutto assente nei regimi dittatoriali…In breve, per il regime politico auspicato da Maurras si può parlare di autoritarismo attenuato, di regime autoritario, ma non dittatoriale, retto a monarchia temperata. Alla luce di ciò, grande e sostanziale risulta la differenza tra la monarchia nazionale descritta e propugnata dall’autore francese, da una parte, ed i totalitarismi storici, dall’altra: questi ultimi, infatti, sono regimi a partito unico rivoluzionario, e tale partito prevale sullo Stato’ (cfr. Domenico Fisichella, La democrazia contro la realtà. Il pensiero politico di Charles Maurras, Roma, Carocci, 2006).

Il netto allontanamento del germanofobo Maurras dal nazismo e dal razzismo biologico, definita «un’autentica follia», permise al nuovo Papa Pio XII, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale,  la rimozione della condanna inflitta dal predecessore. Quando, a metà del 1940, arrivò al potere il Maresciallo Philippe Pétain, a seguito della disfatta militare contro la Germania, Maurras accolse l’avvenimento con entusiasmo, definendolo una “divine surprise!” Il Maresciallo, nei suoi editoriali, diverrà il successore di una lunga serie d’eroi provvidenziali, il solo uomo capace di salvare la Francia, di emendarla dalle sue degenerazioni.

Tuttavia, i suoi radicati sentimenti antigermanici non potevano tollerare la collaborazione e la sottomissione ai tedeschi vincitori, in una Francia divisa in due parti e poi totalmente occupata alla fine del ’42, dopo lo sbarco degli Alleati nell’Africa del Nord. Da lì un’attitudine scontenta, ambigua e contraddittoria. Con le illusioni del vecchio polemista era naufragato il sogno di una restaurazione che Pétain aveva vagheggiato come una ‘Rivoluzione Nazionale’.

‘Non riuscì a realizzarla e nemmeno a dedurne un profilo coerente, perché molti soggiacquero al culto del Maresciallo (persino i Gide e i Mauriac cedettero per qualche tempo all’immagine salvifica del Pater Patriae,) ma pochi, e in genere di dubbio rilievo, furono i pétainisti capaci di tradurne il pensiero in un progetto o in un senso comune. L’ideologia del Maresciallo è tutta nello slogan che invita a cancellare la Terza Repubblica e, con essa, la civiltà dei Lumi: restaurazione del principio di autorità, ad ogni livello e a partire dalla scuola pubblica considerata una fucina di laicismo e dell’antipatriottismo responsabile della Disfatta; ritorno alla terra e alla frugalità degli uomini semplici; rigetto della cultura che non sia mera delega o cinghia di trasmissione del principio di autorità e dunque negazione del pensiero critico, ritenuto distruttivo, e di ogni dimensione problematica’. 

La più compiuta analisi della ideologia pétainista rimane quella di Maurizio Serra, del 1980, che l’ha riproposta in anni recenti, debitamente integrata, in La Francia di Vichy. Una cultura dell’autorità (con prefazione di Francesco Perfetti, in : Le Lettere, Biblioteca di ‘Nuova Storia Contemporanea’, 2011).

Dopo la «Liberazione» di Parigi i dubbi ed i tormenti di Maurras gli schiusero pure l’assurda, oscena condanna all’ergastolo ed alla revoca di tutti gli onori concessigli nell’anteguerra, incluso il prestigioso scranno all’Académie. Al conoscere la propria condanna, nel ‘45, Maurras, fedele al suo stile, esclamò:  “c’est la revanche de Dreyfus!”. Lucien Rebatet scrisse che «Maurras est de tous les Français celui qui détestait le plus profondément l’Allemagne».

Contro il collaborazionismo, Maurras esulta quando apprende la liberazione di Parigi, nel 1944. Ma i comunisti ed altri nemici del vegliardo homme d’ordre et de tradition, vogliono comunque la sua testa. Era stato un avversario duro le méchant Maurras, un mareschaliste a tutto tondo, e questo  bastava. In decenni di aspre polemiche l’ideologo e capo dell’Action Française – con oltre dieci mila articoli pubblicati tra il 1886 ed il 1952 egli fu il giornalista letterario e politico più prolifico del suo temponon si era fatto molti amici… De Gaulle, per un periodo della sua vita vicino al movimento, paga cinicamente il prezzo del sostegno comunista e repubblicano al quale aspira.

Il 28 gennaio 1945 la Corte di Giustizia di Lione dichiara, infatti, Charles Maurras colpevole di «Alto Tradimento» ed «Intelligenza con il Nemico», comminandogli la condanna alla reclusione perpetua ed alla degradazione nazionale. Maurras sostenne che la sua adesione al regime di Vichy era unicamente «fidélité à la France éternelle». Il processo, durato solo tre giorni, più che un giudizio politico sommario fu una farsa grottesca. I giurati erano stati scelti in una lista di nemici pubblici del vecchio giornalista, totalmente sordo ma sempre pugnace, in un mare di vizi di forma e di brogli grossolani. Il capo d’imputazione scelto fu infamante. Malato, Maurras verrà liberato dal carcere di Clairvaux poco prima del decesso, agli 84 anni.

Il vecchio Maurras è, di fatto, la vittima sacrificale sull’altare della ritrovata, miracolosa verginità repubblicana di de Gaulle. Certo non il solo.

È una vecchia storia quella di de Gaulle e Maurras, così come complessa è la relazione tra gaullisme e maurrassisme. De Gaulle ha profondamente rinnovato l’immagine della destra transalpina. La base del suo pensiero politico proveniva dal cattolicesimo sociale, quello di La Tour du Pin, che influenzò molto il giovane Maurras. Tale influenza è trasmessa a de Gaulle dal padre, monarchico e patriota. De Gaulle accetta l’idea democratica, ciò che l’opporrà ai maurrassiens. Seppur rifiutando la filiazione dalla destra originale, il gaullisme ne assume tuttavia l’eredità antiliberale, in una sintesi peculiare di bonapartismo e legittimismo.  Il gaullisme costituisce così una nuova famiglia politica della destra francese, diversa e spesso opposta alle destre liberali. De Gaulle appare un nazionalista appassionato di Péguy e di Barrès; piuttosto che verso  l’Action française, la sua  simpatia evolve verso la ‘Croix de Feu’ del colonnello François de La Roque, lega politica ed organizzazione paramilitare attiva tra il 1927 ed il 1936, che pregona uno Stato forte ed i valori del cattolicesimo sociale, nella cornice di un moderado nazionalismo autoritario. Quelli appaiono i fondamenti del gaullisme.

I seguiti appartengono al destino di un uomo caparbio che saprà cogliere, nel giugno 1940, l’opportunità che la Storia gli offre.

Maurras, come migliaia d’altri connazionali, non era colpevole di alcun tradimento.

In migliaia e migliaia i collaborateurs saranno poi assassinati o condannati a lunghe ed infamanti pene detentive per aver obbedito alle disposizioni di un governo pienamente legittimo.

Il 10 luglio 1940 fu sottomessa all’Assemblée Nationale (formata dalla riunione del Senato e della Camera dei Deputati,  anche se le assenze forzate, ad esempio i prigionieri di guerra o i 27 deputati  del transatlantico «Massilia», trattenuti in Marocco, o quelle volontarie, erano piuttosto numerose) una proposta di attribuire i pleins pouvoirs constituants al Maresciallo Philippe Pétain, Presidente del Consiglio dei Ministri, al fine di una revisione costituzionale dei fondamenti della  Troisième République. Quella era, oltretutto, la Chambre du Front Populaire, eletta nel 1936. Il 16 giugno Paul Reynaud aveva presentato le dimissioni ed Albert Lebrun, Presidente della Repubblica, aveva nominato Philippe Pétain alla testa del Governo. Pétain, interpretando un sentimento popolare di gran lunga prevalente, richiese alla Germania l’armistizio, che venne sottoscritto il 22 giugno 1940 a Compiègne.

Alla “Liberazione” diventeranno ineleggibili tutti i membri del Parlamento che avevano votato i “pieni poteri”! Trattavasi in totale di 846 iscritti, di 669 votanti, che espressero 649 voti validi, Essendo il quorum a maggioranza assoluta fissato a  325, votarono a favore dei “pieni poteri” ben 569 parlamentari, registrandosi solo 80 voti contrari e 20 astensioni. Il progetto di una nuova Costituzione peraltro mai prosperó.

Qualche giorno dopo l’«affaire Maurras», appare ora  un nuovo caso spinoso nell’ultimo Livre des commémorations nationales: il nome di Jacques Chardonne, pseudonimo di Jacques Boutelleau, deceduto nel 1968. Autore e romanziere premiato dall’Académie Française, Chardonne fu un collaboratore durante l’occupazione tedesca della Francia, senza occultarlo mai, e successivamente uno dei padri  spirituali del movimento letterario de «Les Hussards ».  Ma nel testo che appare nel Livre non compare alcun riferimento a quel momento, mentre abbondano giudizi positivi e laudatori di molti suoi ammiratori, tra i quali Jean Rostand e François Mitterrand!

Continuerà implacabile lo zelo epuratore di Macron ed accoliti? Similare a quello di de Gaulle, anche se, fortunatamente, ora limitato ad esclusioni cartacee e ridicoli timori d’un episodio in fondo tragicomico come «l’affaire Maurras», che squalifica i censori e ridà dignità e notorietà agli esclusi, facendone giocoforza dei paladini del libero pensiero?

* già ambasciatore in El Salvador e Paraguay

@barbadilloit

Gianni Marocco*

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