Editoriale. Organizzare il “giorno dopo” per rimettere in moto la destra dopo la disfatta

tricolore frecceAlla vigilia delle elezioni politiche avevamo evocato l’idea del “giorno dopo”. Il giorno dopo della destra, di una destra che – e i risultati lo hanno confermato – è uscita ridotta a brandelli, al di là dei risultati, visto che i parlamentari provenienti dall’ex An eletti nei vari partiti si sono ridotti a una rappresentanza minima. “Il giorno dopo” significava l’evocazione della necessità di una riflessione profonda, sincera, volendo anche drammatica, per la chiusura di un ciclo politico, per un’azione di polverizzazione elettorale e culturale che sentivamo premere alle porte. Abbiamo aspettato, non tanto perché le elezioni hanno consegnato il pareggio e il governo delle larghe intese (dove, guardacaso, la presenza della destra in un governo comunque dignitoso, il meno-peggio-possibile, è praticamente nulla), ma perché il risultato delle comunali romane avrebbe dato senso e respiro alle nostre riflessioni.

Oggi che il senso c’è, il respiro manca. La sconfitta di Gianni Alemanno è l’ulteriore batosta che, sostanzialmente, cancella (a meno di non voler considerare importante la presidenza calabrese di Peppe Scopellitti) l’ultima presenza istituzionale della destra di rilievo. Si tratta di una sconfitta netta e inequivocabile, su cui c’è poco da girare intorno, che certamente ha risentito di un clima sfavorevole complessivo ma che lascia l’amaro in bocca, ancora di più, perché si è chiuso, e non nel migliore dei modi, ciò che poteva essere davvero un laboratorio politico-amministrativo capace di creare un modello di governo territoriale, una rete di politiche, insomma un avamposto di buone idee, in grado di contaminare altre esperienze. Questo non è stato, e lo sa per primo Alemanno, che porta sulle spalle il peso di responsabilità anche (o forse soprattutto) non sue.

Adesso però è davvero arrivato il momento di lanciare l’iniziativa “Il giorno dopo”. Siamo al giorno dopo della Seconda repubblica per come l’abbiamo conosciuta. Siamo in un guado dove il bipolarismo si è trasformato in tripolarismo tra un centrosinistra strambo ma piuttosto effervescente, che può giocare positivamente il conflitto-connubio tra Renzi e Letta, l’arcipelago confuso del Movimento Cinque Stelle e un Pdl mai come adesso (e dopo la sconfitta romana, totalmente) nel pieno controllo berlusconiano.

La destra? Adesso, davvero, non c’è più. Non c’è più la sua classe dirigente. Non c’è più la sua agenda politica. La “foto di Fiuggi” si è definitivamente scolorita, a diciotto anni o poco più dall’occasione trionfale in cui fu scattata. Il pensiero politico-culturale della destra? Inesistente nei luoghi di elaborazione che contano, e non smetteremo mai di chiamare in causa anche i pochi intellettuali che in questi anni hanno avuto la possibilità di incidere seriamente nel gioco politico, e hanno sfruttato poco, male o malamente l’occasione. I discorsi, come si dice, stanno a zero, sono azzerati come le chiacchiere. Siccome non siamo giacobini, non si tratta di imbastire processo o inscenare il gioco del rimpiattino.

“Il giorno dopo” è altro: è capire come ricostruire, come ripartire, come ritrovare aria e spazio, ed è triste che questo compito sia assegnato alla generazione di 30-40enni che oggi ha la stessa età di quelli della “foto di Fiuggi” nel 1995 e che, anziché gestire l’eredità di un successo politico, deve barcamenarsi per non soffocare sotto le macerie del crollo dell’esperienza di Alleanza Nazionale e dei suoi parti mancati. La risposta certamente non è e non può essere né la creazione di micropartiti post-correntizi né il tentativo di rimettere insieme i cocci della classe dirigente che fu, che ha avuto ripetutamente le sue chanche enormi per scrivere la storia d’Italia e, a conti fatti, non è riuscita nell’intento. Se questo è accaduto per inesperienza, per limitatezza, per scarsa tenuta morale, per incapacità o per semplice sfiga, interessa poco, contano i risultati, gli effetti, le conseguenze. Da qui si parte. Da qui parte “il giorno dopo”.

Barbadillo è nato a cavallo di questa crisi, grazie all’impegno di un gruppetto di mattacchioni e ora, paradossalmente, si trova a essere una delle poche, se non l’unica fonte di espressione di un disagio che, per non diventare velleitarismo, deve trasformarsi velocemente in qualcos’altro. Un cantiere. Una trincea. Un punto di raccordo. Fate voi, le formule contano poco. Ma se non si vuole invecchiare guardando da spettatori ciò che accade sul palcoscenico della politica italiana, tocca muoversi immediatamente, con forze e idee fresche, con la voglia di pensare prima tra di noi e poi spiegare al resto del mondo che una destra contemporanea davvero, aliena da nostalgie e da irenismi sciocchi, ha il dovere di riemergere. Dal basso. Dalla partecipazione. Dal confronto. Dall’arrivo o dal ritorno di chi ha ancora voglia di fare. “Il giorno dopo” è già oggi, per tutti.

Angelo Mellone

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