Libri. Perché non leggere “Melancolia della resistenza”  di László Krasznahorkai

“Melancolia della resistenza”  di László Krasznahorkai

Verrebbe da dire: «No grazie, ho visto il film», leggendo “Melancolia della resistenza”  di László Krasznahorkai che viene ripubblicato da Bompiani dopo essere uscito in Italia nel 2013 da Zandonai con i medesimi pazienti traduttori: Dora Mészáros e Bruno Ventavoli. Il film è “Werckmeister Hármoniák” del regista ungherese – stesso paese dello scrittore – Béla Tarr, infatti, leggendo, non si può che pensare a lui, alle sue atmosfere in bianco e nero, ai suoi buffi e poetici personaggi, compresi di una lentezza teatrale – c’è a chi piace, a noi no, preferiamo l’America. Al centro del romanzo c’è la più grande balena del mondo, ma imbalsamata – e questo pesa non poco – perché tutto il libro sembra stare nel ventre di questa balena ferma nel tempo, si presagisce un male che si consuma nelle pagine zeppissime di dettagli, in una dilatazione linguistica che non si può non apprezzare anche se conduce allo sfinimento. Si procede verso la tragedia, dissezionando quello che è un ambiente paranoico, affollato di iperpresenze e sottili smottamenti, tra disgrazie familiari e problemi ferroviari in una galleria di incubi, che alla fine vengono a noia. La consolazione dovrebbe arrivare dal circo e dalla balena, che piombano in questo paesino ungherese, archetipo della condizione del paese durante il comunismo. Sembra una storia di David Lynch alla moviola, un Lynch sotto psicofarmaci. Nell’avvicendarsi dei personaggi – tanti e tutti con ossessioni – prevale il rimpianto sullo stupore. (dal Messaggero)

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Marco Ciriello

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