Pop. Mina, Carosello e quella sfida antica alla Coca-Cola: la Tassoni compie 225 anni

“Quante cose al mondo vuoi fare? Costruire, inventare, ma trova un minuto per me”. La voce di Mina nello spot cult che celebra l’unicità della cedrata Tassoni risuona ancora negli schermi e nelle radio degli italiani mentre a Salò si festeggia un piccolo miracolo. La Tassoni compie 225 anni ed è più in forma che mai. “Più autentica che mai”, ci spiega l’amministratore delegato Elio Accardo.

La Tassoni taglia il traguardo dei 225 e l’estetica, vintage e pop, della cedrata – prima “Sciroppo di cedro” – non è cambiata. Quanto è stato difficile proteggere i “diamanti” della Calabria dal resto del mercato?

“Siamo un’azienda particolare, unica. Lavorare per la Tassoni è come dover maneggiare un gioiello di filigrana, delicatissimo. Il fattore primario è la qualità dei nostri prodotti. Un tempo c’erano i cedri del Lago di Garda, ora non ci sono più. Ma non siamo stati disposti a cedere sulla qualità: abbiamo scoperto le delizie dei “diamanti” della Calabria. Innovare nella tradizione, sempre, anche se è la cosa più difficile. Con i nostri consumatori c’è un confronto quotidiano. In tv, con l’estate, torna il nostro spot di sempre, quello di cinquant’anni fa. “È arrivata Tassoni, è arrivata l’estate”, pensano tutti. Ci siamo chiesti come festeggiare i 225 anni e, leggendo le richieste continue soprattutto di studenti, tesisti che nel loro percorso hanno scelto di parlare di Tassoni, abbiamo pensato di aprire l’azienda ai nostri visitatori con i “Weekend Tassoni”. Ogni visitatore, una candelina. In un pomeriggio abbiamo ricevuto quasi novecento richieste per venire qui, a Salò, e vedere il nostro impianto produttivo di fine ottocento e tutti i weekend sono andati in sold out. Ci è sembrata la cosa più giusta”.

L’età dei visitatori lo conferma: i nativi digitali hanno riscoperto il piacere della cedrata. Ci dev’essere un segreto nella vostra comunicazione…

“Io sono arrivato qui nel 2014, dopo esperienze con Martini, Bacardi, Jack Daniel’s. La prima cosa che ho chiesto è stata il profilo medio del nostro consumatore e ho scoperto che era necessario ‘svecchiare’ un po’. Siamo entrati negli atenei, abbiamo proposto in tutta Italia le “degustazioni gialle”, con i nostri strumenti tradizionali. Abbiamo raggiunto ottimi risultati, non abbiamo abbandonato il nostro zoccolo duro di affezionati, ma ci siamo aperti. E nelle visite di questi weekend erano soprattutto i giovani a conoscere tutta la nostra storia”.

Capitolo storia e nostalgia. Con il secolo breve la cedrata entra nell’immaginario di tutti gli italiani. In principio fu l’art deco e i manifesti futuristi…

“Il passo decisivo della nostra comunicazione è incominciato nel dopoguerra. Accanto alla mia scrivania ho due manifesti d’epoca. Uno recita: “Inverno? Cedrata Tassoni calda!”, e l’altro: “Gustosa rianimatrice, la Cedrata Tassoni”. Il boom è arrivato in quegli anni perché il nonno dell’attuale proprietaria pensò di rispondere con l’iconica bottiglia di vetro da 180 cl, la stessa di oggi, al fenomeno Coca Cola”.

Poi il Carosello e il fidanzamento con Mina: quante cose al mondo puoi fare, costruire, inventare…

“In quel momento, con quello spot, si è sancito qualcosa: la Tassoni è diventata un culto, un simbolo trasversale e profondo dell’italianità. Ed essere attaccati oggi ad un prodotto italiano è ancora più importante. Sono da poco tornato dalla fiera Fancy Food a New York: poter dire, lì, che siamo gli stessi dal 1793, che la produzione della cedrata non si fa miscelando, ma con duecento quintali di cedri, sbucciati uno ad uno e poi rispediti in Calabria per fare i canditi, è incredibile”.

Dall’inimitabilità del primo stabilimento al brand Tassoni, accudite la storia guardando al futuro (“senza alcuna intenzione di vendere”, spiega la presidente Redini) e iniziando ad esportare. Ma è vero che la Corea adora la cedrata?

“Sì. La Corea è il nostro primo mercato extra-italiano. Abbiamo mosso i primi passi con l’export nel 2015. Oggi siamo presenti in ventidue nazioni, tra cui gli Emirati, il Canada e gli Usa. Aprirsi all’estero è faticoso, ogni Paese ha regolamenti e parametri diversi. Ma per essere forti all’estero bisogna essere forti in casa. Ed è quello che proviamo a fare noi, raccontando la storia e non un prodotto. Dal mio ufficio guardo il Lago di Garda: sarebbe molto più facile se facessi il manager a Linate, ma che senso avrebbe? Per noi la scomodità e la bellezza incontaminata del luogo sono all’interno del prodotto. Non riusciamo a concepire una bottiglia senza anima. Questo è il senso di un prodotto autenticamente italiano. E questa è la migliore comunicazione e la migliore prospettiva per il futuro”.

Una confessione. Con le 225 candeline, almeno un desiderio l’avrete espresso.

“Abbiamo ventisei dipendenti. Il desiderio più grande è tenere tranquille le loro famiglie, devono sapere che questa storia, questa comunità, continueranno. Dobbiamo continuare a crescere in modo razionale, anche a piccoli passi, mai con salti in avanti improvvisi. Compreremo e lavoreremo sempre in casa le materie prime. Il Fior di Sambuco è stato premiato a New York come miglior prodotto innovativo dell’anno. Abbiamo lanciato, per l’estate, Pescamara, un nuovo soft drink che omaggia la tradizione piemontese delle pesche ripiene all’amaretto. E con l’afa rispolveriamo sempre l’Apertass-miscelato, l’aperitivo Tassoni che si fa col bitter e non con l’Aperol. Lavorando sulla miscelazione ci rivolgiamo soprattutto ai giovani”.

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Francesco Petrocelli

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