Il caso Casteldaccia (di P.Buttafuoco). In Sicilia il niente uccide più della lupara

Casteldaccia, luogo della tragedia in Sicilia

E’ il niente che uccide in Sicilia.
Il niente che non si fa mai, proprio quello, perché con niente si muore.
Più che la lupara.
Non si fa niente per impedire che si costruisca una villetta prossima al greto del fiume e quel niente, proprio quello, con una giornata di pioggia, si porta via la vita di nove persone. Compresi due bambini.
E’ successo a Casteldaccia, il fiume Milicia esonda e siccome nessuno non ha fatto niente per impedire che si costruisse dove c’è sicura mortese solo piove, l’acqua s’è portata via le pietre, le strade e le anime.
Non si fa niente anche quando succede qualcosa: nell’ottobre del 2009, ancora nessuno aveva detto niente per le case aggrappate alla costa jonica.
Sorgevano proprio dove correvano i torrenti – a Giampilieri – e il maltempo, fatto grosso, macinava 37 morti e 95 feriti.
Ma per portare a niente se ancora a ottobre, nel 2015, una frana nottetempo cancellava una corsia dell’autostrada Messina-Catania.
Non ci furono morti, grazie a Dio. Se solo fosse accaduto di giorno, sarebbe stata un’ecatombe ma non se ne fece niente lo stesso per studiare rimedi e ripari. E nulla si fa sulla frana che se ne sta ancora lì, sazia e soddisfatta di possedere l’autostrada.
Come pure il pilone di Himera. E’ quello sulla Palermo-Catania crollato qualche mese prima nello stesso anno, ad aprile: un intero viadotto andato giù – allo stesso modo del Ponte Morandi, a Genova – inginocchiatosi per lo smottamento di una collina e non ancora tirato su.
Grazie a Dio, quel crollo, senza fare morti.
Ebbe a tagliare in due la Sicilia e rendere irraggiungibili le due città, l’una dall’altra, per lungo tempo, in una terra dove nessuno dice niente, e niente fa, se poi non ci sono treni interni all’altezza di un contesto civile. E solo un nonnulla, dopo la chiusura dell’autostrada, c’è stato: il tempo di percorrenza sui binari tra la città di Sant’Agata e quella di Santa Rosalia è di tre ore e 55 minuti, mezz’ora in meno quando in macchina ce ne vogliono due.
A Messina ci sono ancora le baracche del terremoto accaduto non qualche anno fa, non nel 1968 – quello della Valle del Belice – ma al tempo in cui in Russia c’era ancora lo zar. E la gente ancora vi abita.
Niente potrà accadere – né alluvioni, ne frane – che possa muovere a far qualcosa perché ci sarà sempre il niente che non si fa mai.
Niente succede in Sicilia se ci sono aerei dalle tariffe esose indifferenti della difficoltà obiettiva di unire l’isola al resto di Europa e restano come niente i tratturi a collegare i tre valloni della più importante realtà del Mediterraneo perché le strade – con niente di niente di quel minimo di caditoie, fognature, manto e perfino d’illuminazione che possano garantire il diritto alla sicurezza e alla modernità – non portano a niente.
A proposito: non c’è il Ponte, in Sicilia – sullo Stretto, figurarsi – perché intanto c’è la frana subito dopo, a Roccalumera, e poi c’è il niente.
Anzi, c’è il niente che non si fa mai. (
da Il Tempo del 5 novembre 2018)

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