Figurine. Il principe Zico che in provincia incantò anche gli avversari

(da wikipedia)

Nel mondo ognuno che vive, sogna. 

(Pedro Calderon de la Barca)

 

Lo chiamavano il Pelé bianco, fu il principe azzurro del calcio nella lontana provincia italiana. Per fermarlo, Oronzo Canà si affidò al vudù. Rimediando, però, quattro pappine. Per fermarlo, quando dal Palazzo misero in mezzo vincoli e burocrazie federali, Udine e mezzo Friuli minacciarono di tornarsene sotto il regno degli Asburgo.

Non lo fermava nessuno, nessuno poteva fermarlo davvero. Re Artur Antunes Coimbra, in arte Zico. Con i guanti e un talento balistico da paura. Per la prima volta nella loro storia, i bianconeri udinesi sognarono da grandi. Per la prima volta, quando andavano in giro per i campi italiani a seguire i loro idoli, sentivano i tifosi avversari fare il tifo per loro. O, almeno, per Zico.

Accade quasi subito, a Genova, sponda rossoblù. E dopo un precampionato da giganti che, a volte, è premessa dolce a un’annata amarissima.

Per Zico, non sarà così. È l’undici settembre del 1983, i friulani ne faranno cinque ai padroni di casa. Il pubblico di Marassi, però, applaude. Nei loro occhi non c’è nient’altro che l’estasi, l’ammirazione per un talento come quello del Galinho, venuto da tanto lontano, a riscattare il prestigio del calcio di provincia. Alla fine della partita, come lui racconterà anni dopo, Zico (autore di due gol uno dei quali su punizione) chiederà scusa per la goleada al portiere genoano Silvano Martina.

Come lui, nessuno mai. Anche se il tricolore non arrivò e nemmeno arrivarono grandi tituli. Eppure a Udine ci sono stati un certo Ollie Bierhoff, un tale Marcio Amoroso, gente come Alexis Sanchez. Eppure il sogno, nel cuore della dura e generosa terra friulana, indossa (ancora) i guanti neri di un talento, purissimo, che seppe dimostrare la sua grandezza andandosi a misurare con l’impossibile, là dove il pallone non è che un sogno proibito.

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Giovanni Vasso

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