La lettera. La sacralità della difesa dei confini della patria

I confini

Il Limes. Fin dall’antichità ritenuto “sacro”, custodito, presidiato. Il confine al cui interno vive una comunità con una storia ed una tradizione condivisa. Il confine come identità di popoli e nazioni. Cosa sarebbe la società senza di esso lo stiamo pian piano vedendo ora. In un mondo sempre più globalizzato dove si vorrebbe far tracollare il concetto di stato nazionale in favore di un super stato mondiale, stiamo assistendo all’appiattimento più totale dove tutto è mescolato, torbido, annacquato, spersonalizzato, nulla vive di vita propria e tutto è mosso da sua maestà “il capitale”. Sotto la bandiera del “multiculturalismo” si fa scempio di specificità e culture dei popoli, propagandando al “grande pubblico” che “multiculturale” sia sinonimo di “arricchimento”. È vero l’esatto opposto. Nel calderone multiculturale ogni identità si annulla e si disperde nella mediocrità sterile del villaggio globale. Ogni cultura si dissolve in nome di un perbenismo di basso rango, sottoprodotto di quel sottoprodotto marxista-radical chic che fu il sessantotto. Che cos’è quindi un popolo senza il proprio Limes? Nulla, una scatola vuota. Un agglomerato di esseri umani senza bandiera, senza radici. Un coacervo di persone che abita una terra di nessuno. In ultima istanza un popolo schiavo di una falsa libertà. Oggi più che mai occorre preservare e custodire lo stato nazionale e quindi i suoi confini, la terra dei padri e dei nonni come baluardo di un’intera comunità. Per non morire nel baratro dell’annientamento globale, per restare uomini in piedi tra le rovine.

Corridonia (Mc)

Giorgio Mari

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