Il caso (di P. Isotta). Se quella dell’adolescente di Prato non è una storia di violenza

  Nella storia della Monaca di Monza, un vero romanzo nel romanzo (soprattutto nella mirabile prima versione, convenzionalmente denominata Fermo e Lucia) Manzoni espone l’idea che la complessità dell’animo d’un adolescente può esser eguagliata solo da quella di un diplomatico ottantenne. È una delle verità sul cuore umano dette dal sommo fra i romanzieri. E tale complessità è per lo più impenetrabile. Gli strumenti della scienza soccorrono solo fino a un certo punto, e meno la psicoanalisi, sempre che scienza possa definirsi. Quando nasce il desiderio erotico? Quando sorge la vera e propria libido? Quando questa si trasforma in vera e propria capacità all’atto, quella che da sempre si chiama potentia coeundi?

Un tempo l’iniziazione sessuale dell’adolescente era istituzionalmente propiziata dalla famiglia. Nell’aristocrazia e nella borghesia la cameriera (a Napoli e Palermo detta ‘a criata, la creata) aveva l’obbligo d’ufficio di svezzare il signorino. Un cugino di mio padre, appartenente a una delle più ricche famiglie napoletane, ebbe all’inizio del Novecento due figli dalla balia dei fratelli minori, senese. Li riconobbe e non si sposò mai. Un’altra istituzione era una signora matura, più o meno perbene, detta “nave scuola”, che per lucro o piacere impratichiva i ragazzi. Nel carme sessantunesimo di Catullo, si ricorda un uso presso la nobilitas tardo-repubblicana: un giovane servo, detto concubino, dormiva con il patrizio adolescente prima che questi si sposasse per consentirgli di appagare il suo bisogno erotico: non una concubina, ch’era un boccone evidentemente meno pregiato. Ripugnante mi pare un’abitudine, tipica dell’Italietta e dell’Italia fascista – e oltre – del padre che accompagna il figlio vergine al casino e lo avvia in camera coll’imperativo: “Fatti onore!” Ma torno al mio interrogativo. Se vado ai miei ricordi, desiderî erotici ne provavo già nell’infanzia, a cinque anni. Il mio primo rapporto sessuale completo, con un ragazzo che abitava al piano di sopra casa mia, lo ebbi a tredici anni: con reciproca penetrazione; con una donna a sedici. Alle scuole medie e oltre, molti dei miei compagni avevano affarucci fra di loro, appartandosi nei bagni; e poi corteggiavano le ragazze delle altre sezioni. Così al ginnasio e al liceo. Oggi fanno di tutto anche da prima, ed è già molto se non lo accompagnano con alcool e droga, nei cessi delle discoteche, come troppo spesso accade.

Un’infermiera di Prato viene indagata e accusata di violenza per aver avuto un rapporto con un quattordicenne al quale dava ripetizioni d’inglese. Il ragazzo l’ha anche resa madre. Possedeva, quindi, alla sua età, non solo la vis coeundi, ma la generandi, la potenza generativa. E dietro, il desiderio e la capacità di attuarlo. Scendo nel fatto pratico: l’erezione, e poi l’eiaculazione, salvo che in prostituti di professione, in un uomo non sono a comando, Persino le “pornostar gay” vengono imbottite di preparati per reggere le lunghe ore di “posa”. Come si fa a sostenere che il ragazzo sia stato sottoposto a violenza?  Comprendo che a volte ci possa essere violenza, morale più che fisica, quando un ragazzo viene posseduto da un uomo più adulto; e sovente è il ragazzo a proporsi per la forza del desiderio, per la stessa curiosità di provare qualcosa che s’intuisce desiderabile. E non parliamo di quel che accade nei torbidi ambienti dei seminarî, e fra sacerdoti e catecumeni: anche se l’insistere su questa storia sta diventando a sua volta opprimente. Come si fa a reprimere la natura? Naturam expellas furca tamen usque recurret, rivela Orazio: “Puoi scacciare la natura a colpi di forcone, tornerà sempre.” In realtà quel che fa schifo nell’ambiente clericale sono l’ipocrisia e la condanna degli “atti contro natura” come peccato mortale: figlia insieme del fanatismo e di tale ipocrisia.

  Fin qui me ne sto alla mera materialità. Ma l’animo? Non si comprende l’infinito desiderio di amore d’un giovane che si apre alla vita? Non si comprende l’infinito desiderio di dare amore e riceverne da un ragazzo di una donna di trentacinque anni? Ma quale “complesso di Edipo”! Amor omnibus idem, canta Virgilio, e Amor omnia vincit: “L’Amore è per tutti eguale” e “Tutto Amore vince”; la saggezza antica si perpetua nel Medio Evo, se i Carmina Burana proclamano Amor volat undique, “L’Amore vola dappertutto”. A me questa storia fra la trentacinquenne e l’adolescente pare bellissima. E non voglio giudicare la denuncia sporta dai genitori di lui, i quali dovrebbero ringraziare la signora per il contributo fondamentale dato alla crescita, in tutti i sensi, del figlio loro.

Vogliamo parlare di un caso affine? Uno dei più grandi direttori d’orchestra viventi è James Levine. A capo per decennî del Metropolitan, pianista di gusto finissimo,  gli si debbono esecuzioni esemplari sinfoniche e operistiche: di Monteverdi, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Berlioz, Wagner, Verdi, Puccini, Giordano, Cilea, Schönberg … Ha salvaguardato, finché ha potuto,  il teatro dalle schifose regie attuali: si possono vedere i meravigliosi filmati dei capolavori sotto la sua direzione, dai Troyens di Berlioz alla Tetralogia ai Maestri Cantori al difficillimo Tannhäuser all’Aida, al Don Carlos … Soffre di una grave forma di morbo di Parkinson, ma fino a un anno fa eroicamente, portandosi sul podio con una sedia a rotelle elettrica, col solo braccio sinistro dirigeva meglio di quasi tutti quelli che posseggono le braccia ma non la testa. Era rimasto direttore onorario, riserbandosi di dirigere solo poche opere l’anno. Un tizio l’ha accusato di averlo indotto col metus reverentialis, ossia con la paura indotta dall’autorità, ad avere atti sessuali con lui. Quando? Trent’anni prima. Al Metropolitan non è parso vero di sbattere fuori “per indegnità”chi l’aveva fatto grande: senza che il querelante potesse dimostrare il fatto. Oggi è di moda proclamarsi vittime, diventi il cocco universale.  Ecco un’infamia, questa a Levine, ecco la violenza, generata dall’odio dei mediocri verso il genio.

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*Da Libero Quotidiano del 14.3.2019

Paolo Isotta*

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