Effemeridi. La creatività folgorante di Tamara de Lempicka futurista russa

The Sleeper, Tamara de Lempicka 1932

EFFEMERIDI – 18 Marzo 1980. In Messico, a Cuernavaca, muore la pittrice Tamara de Lempicka.
Un’effemeride che si può fare solo in occasione della sua morte perché la sua nascita rimane misteriosa; passi, magari giustamente, per ciò che riguarda la nascita (forse nel 1898 oppure nel 1906?), ma anche il luogo ci è sconosciuto.
C’è chi sostiene – i più – che sia nata a Varsavia, ma è anche possibile che sia nata a San Pietroburgo.
E, tanto per aumentare le nebbie, anche il suo nome è nebuloso, gli avranno messo nome Tamara alla nascita oppure chissà?
Di sicuro il cognome de Lempicka non era il suo perché aveva assunto quello del marito Tadeusz Lempicka.
Sia come sia, a tutti di lei interessava ben altro: la sua arte e la sua bellezza.
In una età giocoforza impossibile da quantificare, nel 1911 viaggiò con la nonna in Italia e si innamorò dell’arte rinascimentale.
L’anno successivo, in conseguenza della separazione dei genitori, fu inviata in un collegio svizzero, a Losanna, e da lì in un altro collegio, in Polonia, infine da parenti a San Pietroburgo.
Dopo il matrimonio con Lempicka, avvocato polacco, la coppia si stabilì nell’Impero degli Zar, a San Pietroburgo.
E li li colse la Rivoluzione d’Ottobre; l’avvocato Lempicka fu arrestato dai bolscevichi e riuscì a riottenere la libertà grazie all’intervento dell’importante famiglia.
Non era più il caso di rischiare una nuova cattura e la coppia si trasferì nel flusso migratorio di profughi in fuga – chi poteva permetterselo – verso l’Europa occidentale.
Una strada che per loro terminò a Parigi dove Tamara si dedicò allo studio dell’arte frequentando le botteghe di pittori parigini, vere e proprie accademie come quella del suo maestro preferito, il cubista André Lhote a Montparnasse.
Fascino eleganza seduzione furono passaporto per tutti i salotti e gli atelier parigini.
Bella, riservata e avvolta in un alone di mistero colse appieno e si integrò nello spirito parigino.
Ci narra in un suo scritto il critico d’arte romano Carlo Fabrizio Carli che in mezzo ai fermenti artistici parigini, un giorno, Filippo Tommaso Marintetti, il babbo del Futurismo, dal tavolino di un ristorante si mise ad arringare una piccola folla di artisti modernisti con il solito impeto.
Alla frase “Bisogna distruggere i musei. A fuoco il Louvre. A fuoco, ora, adesso!” l’eccitatissima Tamara pare abbia tirato fuori tutta la sua voce per dire: “Andiamo, ho qui la mia macchina…..”, che ne frattempo però era stata rimossa dalla polizia.
Il Louvre si salvò dall’improbabile incendio al di là di quello delle parole e ben presto i suoi quadri sarebbero stati ambiti dal museo parigino.
Tamara divenne presto un’artista famosa, ricercata da tutto il bel mondo della capitale, dall’aristocrazia di sangue a da quella del denaro.
La bellissima e trasgressiva Tamara passò come un ciclone nella Parigi degli anni Venti e Trenta, sia quella della mondanità sia quella dell’arte rimaste incantate da quel suo cubismo delle figure, degli sguardi, dei colori.
Per molto tempo una sua modella fu una bella prostituta del Bois de Boulogne.
La coppia di coniugi però non resse a tanta trasgressione e ai tanti amori, anche saffici, di Tamara, e si separò.
Quello però fu il momento di maggior fama per l’artista.
Moltissimi coloro che vollero essere ritratti da lei conscia del suo fascino e del suo potere.
Riuscì ad irritare il re di Spagna dando ordini sulla postura che non furono graditi. “Non siamo stati abituati a essere trattati in questo modo” disse il re. “Anche noi non siamo abituati a modelli così loquaci” fu la sua risposta. Ma almeno quel quadro lo finì.
Un ritratto che invece non fu fatto fu quello del Vate, Gabriele d’Annunzio nel 1927 al Vittoriale, non aveva nessuna intenzione di lasciarsela scappare; “ci provò” e riprovò ripetutamente, insistentemente, ma senza successo.
Quella Tamara, che chiamò “donna d’oro”, e che pure fu colpita dal fascino del Comandante, non riuscì a farla cadere tra le sue braccia abituate a conquiste facili.
I particolari della scabrosa vicenda li narrerà in una biografia della madre, Kizette, la figlia di Tamara.
Nel 1934 sposò in seconde nozze un barone austro-ungherese che prima della Seconda guerra mondiale, nel 1939, la portò con se negli Stati Uniti assieme al suo ricco patrimonio.
In America la coppia spostò più volte la residenza: Los Angeles, New York, Houston e infine in Messico. Tamara ebbe frequenti periodi di depressione.
Dopo la morte del marito, nel 1961, vendette la maggior parte dei suoi beni e si dedicò alle crociere intorno al mondo.
La sua vena artistica declinò negli ultimi anni ma continuò a dipingere (senza esporre) racchiusa in un aristocratico, orgoglioso disprezzo nei confronti di un mondo ormai involgarito.

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Amerino Griffini

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