Libri. “Palafox” di Eric Chevillard: distopia tra mutanti e mondi possibili

Eric Chevillard
Eric Chevillard

Nemmeno a Ovidio di “Metamorfosi” poteva venire in mente di inventare un essere così proteiforme da apparire indefinibile, indescrivibile e imprevedibile. Figuriamoci poi se Charles Darwin abbia mai pensato che nell’anello mancante potesse accomodarsi una specie così inclassificabile, duttile all’ambiente e tenace nella lotta con l’homo sapiens.  E che dire di Piero Angela? O di Roberto Giacobbo? Nessun ambiente alla Quark né tantomeno un complotto psudoscientifico poteva immaginare l’esistenza di Palafox. Solo un romanziere può farlo. Perché, si sa, i narratori sono fingitori, maestri d’inganni e bugiardi patentati. Dunque, a meno che Jonathan Swift non abbia dimenticato una creaturina di tal specie in una tappa del viaggio di Gulliver o Stanley Kubrick non l’abbia spedita in qualche galassia a nostra insaputa, Palafox si è materializzato a colazione da Algernon Buffoon. E’ scapsulato, anzi è sgusciato. Cioè è uscito fuori dal guscio dell’uovo alla coque dell’aspirante genero di Algernon, quel damerino in gran uniforme di Chancelade. Ed eccolo Palafox con il suo becco dal quale esce fuori un pigolio, o un miagolio, o un ruggito, o un barrito. E che importa? Tanto nelle centosessantotto pagine Palafox sarà rettile, insetto, elefante, pulcino, giraffa, pesce, felino, uccello, stella marina, eccetera, eccetera, eccetera. E avrà ferocia e istinto di sopravvivenza, caccerà e sarà cacciato, farà stragi di animali e di piante e si farà ammaestrare, in un andirivieni gustoso e visionario di identità e forme. Un materiale narrativo eclettico e scoppiettante, surreale e comico non poteva se non arrivare dallo scrittore più originale e divertente della letteratura d’Oltrealpe. Quell’Eric Chevillard che su Barbadillo abbiamo conosciuto con il mondo rovesciato di “Sul soffitto e che torna quest’anno sempre per Del Vecchio Editore con questo romanzo “Palafox”, distopico come nessun altro.

In effetti, è anche utopico, ucronico e divertente cronico. Andiamo con ordine. Distopico perché la storia dell’essere mutante Palafox proietta la civiltà umana dentro un futuro disumano incapace di scorgere la salvezza nella diversità. Utopico perché Palafox impone di pensare che possa esistere un mondo ideale in cui gli esseri umani siano capaci di convivere come specie tra le specie. Ucronico perché se Palafox fosse esistito davvero in quel tempo… Ma quale tempo? Ed è qui il bello. Che il tempo non è chiaro: l’unico indizio è la guerra che il povero Chancelade va a combattere. Per quanto riguarda il narratore potrebbe essere una delle guerre inamidate del Settecento europeo, o una di quelle orgogliose dell’Ottocento europeo o una delle due devastanti del Novecento. Per quanto riguarda il lettore, poco importa: a lui tocca stare dietro a questo animaletto o animale o animalone che attraversa il tempo e lo spazio con la stessa alacrità di Orlando di Virginia Woolf, talvolta però con un po’ di goffaggine talaltra con ferocia sconosciute a quel personaggio. Resta il divertente cronico. Bè, su questo niente da aggiungere. Palafox” è un caleidoscopio di trovate brillanti, di personaggi strambi, di situazioni paradossali, di battute smaglianti. Un libro mondo in cui la storia della bestia Palafox coagula riflessioni importanti e profonde su politica, ambientalismo, sentimenti, rapporti sociali, scienza (sapidi i ritratti dei luminari accorsi alla villa di Algernon per studiare Palafox, compresa la scelta finale). “Palafox” sembra erede degnissimo di quel filone satirico del novel inglese di fine Settecento nato dalla costola di “Spectator” o, spostandoci in Francia, del romanzo satirico di Voltaire o quello salottiero di Laclos (il ricevimento a villa La Gloriette fa la parodia alla letteratura sentimentale e libertina) senza dimenticare l’antiromanzo per eccellenza ossia il diderottiano “Jaques il fatalista e il suo padrone“. Impossibile da riassumere ma eccezionale da leggere, “Palafox” oltre allo strepitoso protagonista presenta personaggi tratteggiati con arguzia come Maureen, l’ibrida e cara fanciulla figlia di Algernon, oppure Olympie la sgangherata tata di Palafox. O come Sardanac il marinaio ovvero il narratore finto della storia ovvero il “deuteronarratore” ovvero il testimone del destino di Palafox. 

Eric Chevillard con questo romanzo ha compiuto un’operazione letteraria davvero preziosa. Ha lasciato lacerare la materia narrata tra verità e finzione intersecando, con continui e deliziosi richiami al lettore, due piani della narrazione così da giocare con la doppia sospensione della credulità e dell’incredulità. E se ormai non v’è dubbio che il romanzo di Chevillard sia tutto votato al nonsense, occorre soffermarsi sul linguaggio. Vorticoso, preciso, didascalico, incongruente. Un pastiche che pare lo scopo stesso del romanzo, come scrive nella postfazione l’eccellente traduttore Gianmaria Finardi.  Eccone un assaggio “ …di Palafox nessuna traccia. Acefalo, aptero, anuro, anodino, Palafox, assente Palafox, niente più Palafox. E’ filato via di là. […] Palafox avrà dunque sorvolato il giardino e la casa e, poi, con agilità, arrampicandosi al glicine, avrà superato il muro di cinta prima di svanire in città-dove tutto è pericolo per un rospo. Palafox finirà in poltiglia. Una poltiglia poco grumosa, curiosamente, molto fluida. Allo stato liquido il rospo è dissetante, che si sappia, piaccia o meno”. Solo un assaggio, il resto sta nelle pagine di questo libro, una di quelle rarità che talvolta appare negli scaffali delle librerie e nei cataloghi degli editori e che trascina il lettore dentro un mondo talmente irreale da sembrare, essere reale. Tutto merito di Palafox, la bestia capace di far vacillare tutte le nostre certezze. E di Eric Chevillard, provocatore di tutte le possibilità della scrittura.

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Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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