Cultura (di P. Isotta). Negli studi di Marcello Conati rivisse il vero Verdi

L’ultimo libro, sulla drammaturgia di Puccini, l’aveva pubblicato al compimento dei novant’anni per la Libreria Musicale Italiana. Debbo ancora leggerlo. Poi se n’è andato un mese dopo, alla fine dell’anno. Marcello Conati è stato, certo, ricordato con rispetto, affetto, anche devozione. Non dai grandi giornali, che forse non sapevano neanche chi fosse. Quando a qualcuno si attacca la qualifica di “specialista”, e non lo è, gli s’incomincia a scavare la tomba. Conati era considerato soprattutto uno “specialista verdiano”. Era uno dei più grandi musicologi viventi.

Non ci siamo incontrati mai, né abbiamo avuto alcun contatto epistolare. Ma è stato uno degli storici della musica, o musicologi che dir si voglia, che più hanno influito sulla mia formazione. Accanto a Hermann Abert, Friedrich Blume, Guido Pannain, Giulio Confalonieri. Che lavorasse con metodo diverso, anche opposto da tali grandi nomi, affrescatori piuttosto delle “idee generali”, nulla conta. Occorre coltivare l’affresco e la miniatura. Conati era un miniaturista; ma che fosse solo un miniaturista, ecco l’errore.

Si è dedicato per tutta la vita soprattutto a Verdi. La sua opera si può paragonare a quella di Philip Gossett nei confronti di Rossini. Verdi è considerato il più grande compositore nostro, e tutti credono di conoscerlo. Le leggende più efferate ancora trovano credito. C’è chi ancora consulta i quattro volumi dedicatigli da Franco Abbiati, Costui era il critico musicale del “Corriere della Sera” e la Scala lo sovvenzionava col sostenergli una rivista che, a scanso di equivoci, portava lo stesso nome. Altri danno credito a un Gustavo Marchesi, i libri del quale fanno pensare al Dizionario delle idee correnti di Flaubert, la sintesi delle cretinaggini alla moda. A prescindere dai numerosissimi articoli, Conati ha pubblicato tre libri fondamentali. Uno, edito per la terza volta dalla EDT di Torino, Interviste e incontri con Verdi, nel quale raccoglie tutta la memorialistica condendola con un’opera certosina e monumentale di correzione e precisazione di ogni errore, di ogni svista, di ogni inesattezza. Della sua conoscenza, della sua memoria, della sua infallibilità, si resta sbalorditi. Il secondo, La bottega della musica (1983) è dedicato ai rapporti del Maestro col teatro veneziano della Fenice, ove furono battezzati capolavori come l’Attila, il Rigoletto, La traviata, la prima versione del Simon Boccanegra. Il terzo, edito per la seconda volta dalla Marsilio nel 1992, s’intitola Rigoletto. Un’analisi drammatico-musicale. La genesi di una delle più tormentate e rivoluzionarie Opere di Verdi, la sua elaborazione, il processo creativo, infine le intime pieghe dell’arte, sono indagati in un modo impareggiabile. E siccome Conati era stato anche direttore d’orchestra, gli errori esecutivi, oggi sempre più frequenti, sono indicati in modo perfettamente implacabile. Ma la gran parte dei direttori d’orchestra attuali son incapaci di leggere sia un libro che una partitura. Vanno a orecchio in tutti i sensi. Confesso che se fossi capace di scrivere un libro simile mi sentirei un grand’uomo. Perché dalla miniatura passa anch’egli, nel complesso della sua opera, al grandioso affresco. Da lui ho appreso il metodo di lavoro, il culto della fonte e dell’originale.

Le città più legate a Verdi sono Parma (solo per esser egli nato nel Ducato), e, sotto il profilo della creazione, Milano, Venezia e Parigi. Ognuna di loro dovrebbe intitolare una via a Marcello Conati.

*Da Il Fatto Quotidiano del 24.3.2019

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Paolo Isotta*

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