Focus Western. Sergio Leone creatore di leggende nel mondo dei cowboy

Clint Eastwood
Clint Eastwood

La notte in cui Tom Doniphon nascosto nell’ombra sparò nello stesso momento in cui l’imbelle Ramson Stoddard faceva lo stesso contro il bandito Liberty Valance, si celebrava anche la morte del Mito del West. Abbiamo già visto in precedenza quando vi ho parlato di John Ford come Doniphon è il vero uccisore di Liberty, il vero eroe che però tace per amore di Hallie, che finirà per sposare Ramson, un avvocato idealista eletto al senato per un’azione “giusta” che in realtà non ha mai compiuto. Una falsa verità talmente radicata nella memoria che anche quando anni dopo verrà alla luce la verità non sarà più possibile correggere la storia perché “qui siamo nel West, e quando o fatti si trasformano in leggenda, si rende pubblica la leggenda”.

Per parlare di Sergio Leone dobbiamo ripartire da L’uomo che uccise Liberty Valance del 1962, il penultimo western di John Ford amaro, malinconico e il primo film revisionista: in questo film come abbiamo detto non vi sono grandi spazi, tutto si svolge in interni tra la cucina e il saloon, i personaggi sono in bianco e nero e tutta l’epopea del west è mistificata. Il pioniere tutto d’un pezzo, l’uomo onesto incarnato da un monolitico John Wayne è morto portando il suo segreto nella tomba che rappresenta la morte del cinema western classico, una morte rappresentata da un cactus deposto da una donna amata ma mai posseduta. 

Si tratta di un fotogramma da non dimenticare che prelude al revisionismo storico che imperverserà negli anni Settanta e che per alcuni critici rappresenta la morte del vero western minacciato sia dalla ripetitività e dalle produzioni televisive oltre che da un nuovo intento di rivitalizzare il genere western riprendendo la matrice italiana cominciata con Sergio Leone e in America esportata prima da Peckinpah e poi da Clint Eastwood.

John Wayne ne Il Grinta

John Wayne era stato l’archetipo del cowboy, era sempre stato presentato come l’eroe ma aveva anche dato un’ottima interpretazione di antierore solitario interpretando Ethan Edwards in Sentieri selvaggi, il capolavoro di Ford in cui si rappresentava tra la “civiltà” dei bianchi e la wilderness dei nativi americani senza leggi stigmatizzata nel finale dall’allontanamento di Wayne dal focolare domestico che si chiude la porta alle spalle scegliendo il deserto.

Con il passare degli anni la figura dell’eroe wayano dell’epoca d’oro del western muterà ancora con altre notevoli interpretazioni ma che saranno adeguate ai tempi soprattutto nell’ultimo periodo della sua carriera. Rivedremo il patriarca dei ”cappelloni Stetson” nella parte di uno sceriffo imbolsito, orbo e ubriacone in cerca di riscatto in Il Grinta diretto da Henry Hataway che fruttò a John Wayne il premio Oscar per la migliore interpretazione e poi nel sequel Torna El Grinta diretto da Stuart Mill, lo rivedremo nella parte di un ranchero che per mancanza di uomini è costretto ad assoldare una banda di 11 ragazzini per poter portare una mandria dalla sua fattoria a una città molto lontana nel film I cowboys diretto da Mark Rydell, a questi ragazzi insegnerà il difficile lavoro del mandriano e impareranno a loro spese dopo la morte del loro datore di lavoro che la violenza è magistra vitae, interpreta un ex sceriffo che trascura i figli in La stella di latta diretto da Andrew Mc Lagen, e infine un gunslinger malato di cancro costretto ad affrontare i nemici del passato in Il pistolero diretto da Don Siegel, questa fu la sua ultima interpretazione per il cinema essendo malato non era più neanche in grado di stare a cavallo, morirà l’11 giugno 1979 di tumore allo stomaco a Westwood. Si tratta di un film che in maniera definitiva ed elegiaca rappresenta il trapasso dei tempi, il tramonto degli eroi e la fine del mito che coincide con il declino reale di John Wayne e quello del personaggio del film Bernard Books.

Questo film è il commiato di John Wayne ai vecchi compagni con cui divise la carriera prima della sparatoria finale dalla quale non uscirà vivo, anche se non vi saranno conti in sospeso cosciente del fatto che le parole dello sceriffo Thibido lo definiscono un residuo inutile di un mondo tramontato e di crepare in fretta, John Wayne risponderà allo sceriffo “Tu non sei uno sceriffo, sei uno stronzo”, pronunciando un paio di vere parolacce in quarant’anni di carriera sul grande schermo.

Si tratta di western crepuscolari che si lasciano alle spalle semplicità e purezza da favola dell’epica del passato. Questa è l’eredità di John Ford, possiamo definirlo il declino dell’uomo, del mito e il western crepuscolare è la morte del western? Oppure è un altro western, un western più reale inserito nella storia? Se l’eroe pensa, si mette in discussione e si pone delle domande esistenziali rompendo gli schemi noti è meno eroe? Esiste una possibilità di riscatto per i perdenti, i disadattati alla vita, gli antieroi? E’ la rivincita della storia sul mito dell’assioma fordiano che rinasce adattato ai tempi nuovi.

Tom Doniphon che scompare mestamente è una figura nobile e perdente che viene rimossa dalla storia cambiando il volto del western americano che muterà anche coordinate grazie a un cambiamento in atto al di fuori dell’America in una terra insospettata come l’Italia in cui nacque uno stile diverso per rappresentare la Frontiera rinnegandone nello stesso tempo il concetto.

L’imitazione degli stilemi italiani, il revisionismo storico toccando eroi, banditi, pionieri, indiani stravolgendo i fatti e correggendo il giudizio della storia adattandoli alle metafore sociali e politiche dell’epoca contemporanea contaminandolo con generi diversi come l’attenzione per le donne, i negri e le etnie presenti nel territorio americano. Aspetti riverberati in un genere considerato ormai imbalsamato e ripetitivo rinvigorendolo con altre tematiche ma privato del mito, della purezza, della leggenda, del ricordo di grandi avventure, degli istinti primordiali dell’uomo e dell’aura magica del racconto narrato attorno al fuoco di bivacco.

La data del cambiamento è il 1964 con una nuova figura di cow boy che compare nel film Per un pugno di dollari diretto da Bob Robertson, il protagonista del film indossa un poncho, è trasandato e con la barba incolta, fuma il sigaro, parla poco e quando lo fa parla per frasi fatte, ma sa usare la pistola con la stessa facilità con cui accende il cigarillo, accessorio necessario per la nuova iconografia dell’eroe del West.

Sono più le cose che non ha rispetto a quelle che possiede: per esempio non ha nome, non ha un passato, non ha ideali, né scopi né ambizioni, non ha scrupoli e non fa mai trapelare i suoi sentimenti. È un tipo taciturno, cinico, disincantato e violento. Il mondo in cui opera è molto diverso rispetto agli abituali scenari western, quel West selvaggio da sottomettere e conquistare che era un po’ il motore dei film di Ford, di Hawks e dei registi del western classico è tagliato fuori, non esiste il mito della Frontiera, non vi sono storie sentimentali, non c’è il confronto con i nativi dalla pelle rossa, il protagonista è spesso un disonesto e non è un eroe votato al bene. Nel western di Sergio Leone non si salva niente e nessuno, tutto è violenza e sopruso, il sangue scorre a fiumi, gli uomini sono brutti, sporchi e privi di morale, le donne non contano ma solo le pallottole.

Non si tratta né di una nuova concezione del western, né di una ricostruzione fedele e reale dei personaggi e della natura dell’uomo e nemmeno di un western privo della componente favolistica e mitica in cui i personaggi sono buoni o cattivi.

Niente di tutto questo, si tratta del cinema western di Sergio Leone, l’innovatore venuto dall’Italia, la cui visione del western è personale, la sua concezione è quella di un mondo spogliato di contenuti e valori portanti, demitizzato e privo di romanticismo, basata su un contesto che rinnega tutti i cardini e le fondamenta del genere stesso. Il western di Leone ha uno stile e contenuti diversi rispetto alla tradizione americana, iperbolico, irreale, violento, compiaciuto di ciò, radicale, non elegiaco, sfrontato, ironico e stilizzato con scarsi contatti rispetto alla realtà storica.

A differenza di Ford non abbiamo dei personaggi ma dei tipi caratterizzati dal cappello, serapè, cigarillo e infine la pistola. Su questo indolente Uomo senza Nome, si punta l’attenzione del western all’italiana, definito in modo dispregiativo “spaghetti western”.

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Giovanni Di Silvestre

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