Libri. “Italia! Storia di un’idea. Da Roma a Petrarca” di Rota: le radici della patria

Italia! Storia di un’idea. Da Roma a Petrarca di Ettore Rota
Italia! Storia di un’idea. Da Roma a Petrarca di Ettore Rota

Per parafrasare antichi versi, “Continuiamo a seguir Italia.” Per un bisogno esistenziale. O per scongiurare sbandamenti anti-unitari.  Più che tutto seguiamo il docente, lo storico appassionato, Ettore Rota (1883-1958), che cercò i segni della primitività italiana. Con la sua bussola critica, Rota pedinò serenamente le origini della patria italiana, disegnò la fisionomia di una terra che voleva essere nazione molto prima di Garibaldi.

Dove nacque l’anima italiana? Nel medioevo comunale e anti-imperiale? O sbocciò nel canto dei poeti?  Vittorio Alfieri e Giovanni Papini andarono alla ricerca delle origini di una nazione, con poesia e voglia di revanche. Tuttavia esisté un destino italiano trascritto nei secoli, prima delle sfuriate pre-romantiche o novecentesche? Ettore Rota, docente di storia moderna nell’università di Pavia, si domandò se esistesse un’ Italia perenne, non un’entità geograficamente percepita, piuttosto “un simbolo di unione, di pace, di civiltà, madre dei popoli, cerchio ideale dell’universo politico?”

“Italia! Storia di un’idea. Da Roma a Petrarca” e poi “Dal Trecento al Risorgimento”, editrice Oaks, interpellano vicende che seminarono sentimenti e ragioni nazionali, anche quando “la nazione dormiva nelle coscienze, eppure esisteva, come esisteva ed agiva nel profondo”, come scrive nella prefazione Gennaro Malgieri.

L’incontro con questo saggio dischiude una corrente divulgativa notevole. Nei secoli scuri, con la terra italiana offesa, Rota seguì testimonianze di una patria originaria. Come nel IV secolo allorché il santo Ambrogio scrisse parole sublimi, “O fratello mio, quanto avresti pianto se tu avessi saputo l’Italia calpestata da un nemico che già tocca le sue porte…”  Gli antichi facevano nascere, nei loro cuori, la parola Italia,  che  voleva dire già tanto, che conservava nobili caratteri e lo spiegò Rota, “L’Italia nasce con il lavoro degli umili; e il vecchio uomo italico, conservatore e risparmiatore, soldato e contadino, avaro quanto Catone, ma quanto lui giunto a noi con la fama di uomo frugale ed onesto, riconosce in queste abitudini i segni della propria personalità e i caratteri della primitiva nazionalità.”

Quando gli invasori tolsero a Roma il comando, infondo i nuovi padroni germanici  pensavano che dovessero dare governo ad “una sola entità patrimoniale”, ossia ad Italiam. Più avanti per il XII secolo, lo storico rifletteva sui comuni  che si battevano contro l’imperatore germanico; e quei comuni  erano l’unione di cittadini coinvolti da un primigenio patriottismo, ossia  dall’amore della libertà italiana.

Andando avanti sulla linea cronologica, Rota raggiunse inevitabilmente la condanna dantesca di una terra senza patria, “serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta.” Comunque è altrettanto noto che gli insuccessi politici danteschi videro  la vittoria di un intellettuale immenso che unì gli italiani attraverso la letteratura.  Così “La storia di un’idea” ci conduce dentro le menti di Dante e Petrarca: intellettuali che proposero una visione politica nazionale. E qui il disegno storico ritrova eventi per costruire un discorso politico-culturale mai esaurito; qui l’originalità critica è l’aver tenuto insieme episodi comunitari appartenenti ad epoche differenti, cioè episodi che spingevano verso “un’Italia completamente  sottratta da tutele straniere: e certo riveste questa forma nazionale, nella coscienza pubblica, il rancore anti-tedesco”.

Con l’avanzare della ricostruzione storica, tra il XIV e il XV secolo, Rota si soffermò su Cola di Rienzo, Gian Galeazzo Visconti, personaggi che spinsero verso l’indipendentismo nazionale o a guida romana o a guida milanese. Vale a dire frammenti di un unitarismo italico. Sussulti epici di uomini che parlarono in nome della penisola e delle sue isole. Eppure, mentre la dignitas italica periva per gli interessi internazionali del pontefice; mentre le città Firenze e Venezia giocavano la loro egoistica partita; nel XVI secolo, mica mancarono voci dedicate all’unità pacifica degli italiani; come fece l’umanista Pietro Bembo che, dopo la vittoria anti-italiana di Carlo V, scrisse, “È  lecito sperare che spunti  finalmente un periodo di pace per l’Italia.”

Era l’Italia che veniva tradita.  Non di meno era l’Italia che chiedeva una quiete comunitaria. Citazione dopo citazione, viene dipanata la coscienza degli antichi che possedevano un’idea di patria,  “inseguita da un destino sempre avverso”; ma un’idea  che poi “risorge, o per ricadere nel sogno, o per rifugiarsi nel mondo vaporoso dell’utopia, o per lanciarsi nella mischia, ma non muore mai.”

Il titolo del saggio lascia intuire che l’analisi dello storico desiderò  essere (anche) sociologia culturale, non una fredda elencazione di caratteri nazionali.  Questa prospettiva fa bene alla nostra contemporaneità in cui  la coscienza  nazionale  non è neppure  insegnata nelle scuole. Lo chiarisce Gennaro Malgieri.  Il quale evidenzia che agli italiani “è stata negata persino la conoscenza  delle loro origini  con un metodico e minuzioso  processo di sradicamento  culturale  che ha inciso nel profondo  nella coscienza nazionale.”

Per conclusione: la ricostruzione considera il pensiero di Machiavelli e Ariosto (due  diverse intellettualità, eppure entrambe furono risposte al “barbaro dominio”); raggiunge “la via maestra di una politica nazionale: la monarchia piemontese”  prima dell’Ottocento; infine comunica il suo essere storiografia che appassiona raccontando uomini che, tra colpe e dolori, pensarono ed  agirono in nome di una nazione.

*“Italia! Storia di un’idea. Da Roma a Petrarca” (volume I), pagg. 288

*“Italia! Storia di un’idea. Dal Trecento al Risorgimento” (volume II), pagg. 268

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Renato de Robertis

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