Segnalibro. Omicidii nella Swinging London mentre i serial killer leggono William Blake

Scrittore di horror, fantascienza, gialli, ma anche di testi di criminologia, psicologia, archeologia sempre alla scoperta della verità dietro misteri, intrichi, leggende e semplici fatti di cronaca, lo scrittore britannico Colin Wilson (1931 – 2013), autore prolifico e poligrafo, ha consegnato ai suoi lettori e fan una produzione sterminata di libri di grande interesse che hanno alimentato non soltanto il desiderio di comprendere i recessi più profondi dell’animo umano, ma anche di capire la dinamica della vita in tutte le sue varianti. Mescolare bene mistero, omicidio, letteratura, psicologia, talvolta esoterismo in un unico testo non solo significa fare alta letteratura ma anche indicare una via di comprensione della realtà. A modo suo, Wilson era senz’altro un filosofo e La gabbia di vetro (Carbonio editore, pagg. 267, euro 17,50) è un libro da apprezzare su più piani narrativi e descrittivi con un’ambientazione di alta qualità, non a caso per l’autore era il suo romanzo preferito.

La narrazione è diretta, semplice e alimenta, pagina dopo pagina, una buona dose di suspence nel lettore. Ma il romanzo non può definirsi semplicemente un poliziesco, è molto di più. La storia: un serial killer uccide un scia di persone con conseguente smembramento come nella migliore letteratura horror vittoriana. L’indagine della polizia ha come scopo di risalire al criminale, ovviamente, ma sui luoghi degli omicidi vengono trovati bigliettini con citazioni tratte dalle opere di William Blake. Una situazione poco chiara e inquietante. Wilson mostra così che è necessario “comprendere altro” non solo i fili che, annodati fra loro, possono portare al colpevole. Gli inquirenti si rivolgono allo strano Damon Reade, che vive nel Lake district, espertissimo di William Blake e della sua opera. Lui, abituato a luoghi di solitudine, si trasferisce a Londra. E’ il protagonista del romanzo e si convince che deve trovare una soluzione attraverso la somma fra la definizione del profilo criminale e umano (l’assassino si interessa di poesia, potrebbe avere un animo sensibile) ma anche la soluzione di un quesito che è fra le righe degli avvenimenti: un problema esistenziale? un problema filosofico? E la traccia vera sono le citazioni dalle opere di Blake? Tutto questo ambientato nella Swinging London, la Londra degli anni Sessanta, forse un po’ troppo sopravvalutata come età dell’oro ma sicuramente rappresentò un cambiamento brusco, un’innovazione nella vita quotidiana, nelle arti e nella società. Ma ciò che conta è che Wilson restituisce in maniera magistrale quella città in quel periodo: i Beatles e i Rolling Stones, Mary Quant e la minigonna, 007 e la cinematografia underground, la liberazione sessuale e la diffusione di una moda tanto diversa se i giovani si ispiravano ai rockers oppure ai mods, ecc.

Il romanzo si snoda in una narrazione avvincente e affascinante, con la scrittura lieve e profonda di Wilson che cura sempre molto lo stile senza mai trascurare il contenuto filosofico, intellettuale. In questo romanzo sono affrontati anche “l’oppressione, la perversione, il superamento dei confini della conoscenza e i risvolti più inquietanti della passione”. Temi che, insieme con altri, ritornano nella produzione dello scrittore britannico con particolare attenzione agli outsider (proprio così si intitolava il suo primo libro pubblicato con successo nel 1956, a 24 anni di età) e all’insolito, insolito narrato mettendo insieme occultismo, scienza moderna, psicologia e antiche civiltà. La ricerca dell’insolito cniugando sceinze diverse, per la verità, ebbe un’attenzione da parte di vari scrittori (si pensi alla scuola francese della rivista Planète, dello splendido duo Louis Pauwels e Jacques Bergier, sulla quale presto torneremo).

L’horror di Wilson non ha nulla a che fare con lo splatter di Tarantino, con i film basati sul sangue e sulle scene violente e sanguinolente. E’ un libro lieve che diverte, attira, fa pensare. Wilson, outsider lui stesso, dapprima anarchico vicino alla scuola degli Young angry men, poi vicino a un “esistenzialismo nuovo” senza mancare frequentazioni e attenzioni verso le frange del neofascismo britannico del secondo dopoguerra. E’stato un autore più importante di quanto si immagini nel dibattito culturale britannico anche se la sua produzione, in certi momenti, è stata disuguale. Ma un lascito su come affrontare la vita e interpretare quello che succede quotidianamente lo scrittore ce lo indica attraverso questa frase di Damon Reade: “Non riesco a immaginare come la gente possa dare per scontata la vita, c’è ovviamente qualcosa che non va da qualche parte. Ed è una specie di poliziesco in cui non si sa nulla: non si sa quale crimine sia stato commesso o chi sia il colpevole. Si sa solo che c’è qualcosa di sbagliato da qualche parte, e che bisogna tenere gli occhi aperti e continuare a fare due più due”. Insomma, se la vita è davvero un poliziesco, allora Wilson aveva capito tutto.

Manlio Triggiani

Manlio Triggiani su Barbadillo.it

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