La polemica. I limiti di Salvini e il rischio per la patria di un governo che approva lo ius soli

Matteo Salvini

Il mio articolo intitolato Il governo sarà Pd-M5s e i destro-chic rimpiangeranno il “barbaro” Salvini ha suscitato molti commenti, in genere positivi, di cui ovviamente mi compiaccio, anche se il merito credo non sia mio, ma dell’importanza e purtroppo della gravità dell’argomento. Fra di essi c’è anche quello di un lettore informato, che non concorda con la mia valutazione di Salvini, sostenendo che questi abbia “la stessa funzione imbrigliante del Msi negli anni ’60 e ‘70” e ritiene “un errore politico vedere in lui un demiurgo che ci difende dai cattivi”, aggiungendo che “la convergenza su alcuni punti non può e non deve essere condivisione, a meno che non si abbia abdicato rispetto a qualsiasi intento/speranza di affermare la nostra visione politica. Rileggere i Proscritti (il celebre romanzo di von Salomon, ndr) può essere utile per constatare come certe adesioni portino al suicidio politico.” La critica prosegue sostenendo l’esigenza di “pensare in termini di lunga marcia, di rivoluzione metapolitica, che impegni almeno due generazioni, altrimenti con questo materiale umano tutto sarà effimero. Come effimero e tragico è stato anche il Fascismo.” In particolare, si osserva che “la situazione in cui ci troviamo l’ha provocata Salvini, quindi è lui il responsabile di un eventuale governo giallorosso.”

Si tratta di considerazioni che in buona parte condivido e che potrebbero costituire l’abbrivio per un dibattito di più ampia portata, politica e, appunto, meta politica.

Per quanto riguarda le responsabilità contingenti di Salvini, è incontestabile che la crisi l’abbia provocata lui, anche se Forza Italia e Fratelli d’Italia glielo chiedevano da un anno. Si potrebbe aggiungere che fin dalla campagna elettorale delle Europee era stato provocato dai pentastellati e che la loro decisione di votare per Ursula abbia costituito il segnale di un netto cambiamento di rotta da parte di un partito che aveva sempre tenuto un atteggiamento critico nei confronti dei vertici di Strasburgo e di Bruxelles. Il vero torto di Salvini è stato di avere reagito alle provocazioni in un momento infelice, in pieno agosto, e di essersi fidato di Zingaretti che si mostrava disponibile al voto. Quando si ha voglia di fare la guerra è buona regola farsela dichiarare, come fece Bismark nel 1870 a spese di Napoleone III o Cavour nel 1859. Salvini non ha saputo falsificare i dispacci di Ems e ha fatto la figura del traditore di un’alleanza che presentava già ampie crepe. Se proprio avesse voluto rompere, avrebbe dovuto farlo su di un tema di ampio consenso, come uno scontro sull’ennesima nave delle Ong, non su questioni come la Tav o il federalismo fiscale, del quale sotto l’Appennino tosco-emiliano non importa a nessuno e che anzi sotto il Garigliano fa perdere consensi.

Il ruolo incapacitante del Msi

Su questioni come il ruolo del Msi e il fascismo posso concordare con il nostro lettore, ma il giudizio su un secolo di storia richiederebbe una riflessione ben più vasta. Mi preoccupa invece sentirlo parlare di una “lunga marcia (…)  che impegni due generazioni.” Non posso fare a meno ricordare quello che diceva Keynes quando gli proponevano un investimento immobiliare, che nel lungo periodo è il più remunerativo (o meglio, lo era): non mi interessa perché nel lungo periodo non ci sarò nemmeno io. Fra due generazioni io non ci sarò, e questo ha un’importanza molto relativa; ma, se il governo giallo-rosso revocherà i decreti sicurezza e varerà lo ius soli, forse non ci sarà più nemmeno l’Italia, come noi l’abbiamo conosciuta. E rimpiangeremo un Capitano che in una notte di mezza estate si è fatto fregare dai pescicani, dagli squali e dalle verdesche della politica.

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Enrico Nistri

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