Cultura (di P. Isotta). “Il Primo Re” di Rovere, buone idee ma (troppo) arcaiche

Non ero riuscito ad assistervi quando si proiettava nelle (residue) sale, e così ho acquistato il dischetto e l’ho guardato a casa. Si tratta di un film del quale si è assai parlato, Il primo re, con la regia di Matteo Rovere; ideato da lui, con una folta schiera di consulenti fra i quali molti professori della Sapienza. E occorre ammettere: non è idea di tutti i giorni quella di realizzare, invece del solito giallo o storia spionistica o storia sexy, un film dedicato alla nascita di Roma. I protagonisti ne sono Romolo e Remo.

La tesi di fondo è più che interessante. I due gemelli, reietti e fuggiaschi, si amano svisceratamente. Remo è dei due la personalità dominante. Durante le loro scorribande insieme con un gruppo di disperati e schiavi fuggitivi, Romolo è ferito quasi a morte. I seguaci vorrebbero abbandonarlo perché il peso del trasporto rallenterebbe la fuga e potrebbero morire tutti. Remo s’impone: riesce a curare il fratello e salvarlo. Ma nel finale Romolo lo uccide: come narra il mito, e giusta l’archetipo mitico. La spiegazione del mito è di carattere simbolico: l’aver Remo varcato indebitamente il pomerium (il confine esterno) tracciato con l’aratro da Romolo. Nel film, Remo sviluppa un carattere modernamente individualista, sostenendo la sua volontà esser più forte di quella degli dei: e addirittura uccide una sacerdotessa di Vesta (questo particolare è ridicolmente antistorico e cozza con tutto ciò che sappiamo della mentalità antica). Romolo comprende invece che la guida degli dei consentirà di fondare la città che fonda la civiltà. A questo punto Remo quasi sollecita che il fratello lo uccida.

Un’altra idea originale, la quale di per sé non può essere che lodata, è che i personaggi si esprimono in una presunta lingua originaria (ur-Sprache) denominata proto-latino. Vale a dire la variante romana di quel linguaggio indoeuropeo che, nelle sue varie forme, dall’osco al sabellico al sabino all’umbro al sannitico, si parlava, insieme col greco, nel Lazio. Certo i professori che hanno fatto da consulenti ne sanno mille volte più di me. Ma la mia perplessità su questo punto si connette con l’atmosfera generale del film. Il più antico latino è una lingua recente: per quel che ne sappiamo, non risale a prima del quinto secolo. Il Lazio dell’ottavo secolo era invece una terra civile e antica; i fondamenti culturali della quale erano soprattutto etruschi e sabini. L’orda dipinta dal regista Rovere è a tal punto barbarica e, per certi versi, incapace di pensiero articolato (intima contraddizione col resto) da dare l’idea di qualcosa risalente a circa ottomila anni prima della nascita di Roma. Fa pensare a un film fantastico e a modo suo non privo di pregi di molti anni fa, La guerra del fuoco.

La Vita di Romolo di Plutarco e l’inizio della Storia di Livio dipingono un quadro assolutamente diverso. Mostrano la koinè di civiltà del Lazio dell’ottavo secolo, attribuendo all’elemento etrusco e al sabino la fondamentale importanza in ordine alla fondazione delle istituzioni politiche e, soprattutto, religiose. E parlano della minuzia ritualistica, prettamente romana, con la quale sin dall’inizio esse erano osservate. Nel Settecento (da Giovan Battista Vico) e nell’Ottocento (i grandi storici di scuola germanica) a Livio e Plutarco si attribuiva un valore mitico-favolistico. Più il tempo passa, più la loro precisione storica viene ammessa (“Livio che non erra”, fantastica anticipazione di Dante). Sul Palatino il primo insediamento è stato da tempo individuato, compresa la casa di Romolo, la regia. Che, come i templi, ha il tetto spiovente il quale documenta la lontanissima origine nordica dei popoli indoeuropei: la neve era uno dei loro nemici.

Insomma: Il primo re, con tutti i suoi meriti, è un film troppo arcaico nella raffigurazione dell’uomo, troppo ferino nei caratteri che gli attribuisce. Dà alla religione il suo peso; ma dimentica che la religione è innanzitutto la regolamentazione della violenza entro schemi rituali, la regolamentazione dei rapporti civili e la fondazione delle classi sociali.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 14.09.2019

Paolo Isotta*

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