Libri. “Appuntamento a Trieste” di Scerbanenco: tra spie e profughi istriani

Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco

La Nave di Teseo sta ripubblicando i vecchi romanzi di Giorgio Scerbanenco, quelli meno “noir”, per intenderci, senza la figura dell’iconico medico-investigatore Duca Lamberti. Sono in realtà i primi romanzi scritti dal “padre” del noir italiano, spesso di carattere romantico-sentimentale e a volte pubblicati a puntate sulle riviste femminili dell’epoca (anni ’40 e ’50), alle quali Scerbanenco collaborava assiduamente.

Appartiene a questo filone “Appuntamento a Trieste”, da poco uscito in libreria, pubblicato a puntate nell’estate del 1952 sul rotocalco “Novella”. Apparentemente è un romanzo d’amore, che tuttavia contiene alcune atmosfere nere che saranno tipiche, nel decennio successivo, dell’opera del grande scrittore di origine ucraina. In questo caso alle pennellate più cupe si affianca una inedita trama spionistica e persino un accenno di critica politica, che di solito nei romanzi di Scerbanenco è assente, o molto sfumata.

Una città divisa
Come spiega il titolo, il racconto si svolge in gran parte a Trieste e la scelta non è casuale: nel 1952 il territorio giuliano è ancora diviso e occupato da eserciti stranieri (le famigerate zone A e B) e la stessa città, situata di fatto al confine fra mondo occidentale e area d’influenza sovietica, è terreno di angherie, pressioni politiche e scorribande di spie di entrambi i lati.

È all’interno di questa cornice che si svolge la tormentata storia d’amore fra la triestina Diana e l’americano (di origine italiana) Kirk Mesana, ufficiale dei servizi segreti Usa; che serve anche a introdurre un’altra inquietante relazione fra un uomo e una donna, entrambi senza nome, che apre e chiude il romanzo. In mezzo una spy-story che a tratti, oggi, può anche apparire ingenua, ma che ha l’indubbio merito di sollevare il velo su un pezzo importante di storia italiana. Fatti che all’epoca molti negarono e si affannarono a coprire e che oggi, a distanza di oltre sessant’anni, sono in gran parte dimenticati.

Buoni e cattivi
Nel descrivere la storia di Diana e Kirk, Scerbanenco non si fa troppi scrupoli nel prendere posizione: descrive una città ancora ferita dalla guerra, prostrata da una duplice occupazione che persino nella zona A (quella degli Alleati) assume contorni dispotici, e racconta in modo asciutto il martirio dei profughi istriani e dalmati, costretti ad abbandonare tutto a causa della pulizia etnica slava. Lo scrittore, vittima anch’egli del totalitarismo comunista (il padre venne ucciso dai bolscevichi dopo la rivoluzione d’Ottobre), descrive “quelli là”, cioè le spie titine, senza neppure nominarli, facendo però ricorso a tutto il repertorio della retorica anticomunista dell’epoca. Questo, ad esempio, il ritratto di un agente slavo appena catturato dai servizi americani:
«Studiò quel volto ossuto e minuto, pallido, gli occhi che si vedevano appena tra le fessure delle palpebre quasi completamente abbassate, le labbra sottili e strette che gli davano un’impressione di repugnante perversione».

Nell’altro campo descrive gli inglesi come crudeli ed ottusi, ancora in cerca di una rivincita contro gli italiani ormai sconfitti da anni; mentre si mostra molto indulgente nei confronti degli americani, tratteggiati con il solito cliché del popolo giovane e ingenuo, ma fondamentalmente buono e difensore del mondo libero.

Happy end solo a metà
Le quasi 300 pagine di “Appuntamento a Trieste” scorrono veloci, malgrado alcuni passaggi un po’ banali e le inevitabili concessioni sentimentali indirizzate a un pubblico, all’epoca, quasi esclusivamente femminile. È facile pensare che dieci anni più tardi Scerbanenco avrebbe scritto un finale diverso, rispetto a quello sbrigativo e consolante di questo romanzo, anche se le ultime dieci pagine offrono un colpo di scena, questo sì, davvero noir.
@barbadilloit

Giorgio Ballario

Giorgio Ballario su Barbadillo.it

Exit mobile version