Esteri. Vent’anni fa la battaglia al Check Point Pasta: il racconto di Gianfranco Paglia

paglia«Di quel giorno ricordo tutto, fino al ferimento e all’impossibilità di comunicare con il mitragliere perché la voce non usciva. Mi sono reso conto subito di non poter muovere le gambe, ma sono stato più fortunato rispetto ai tre ragazzi morti in una missione di pace. E poi avere l’Esercito sempre al mio fianco è stata un’altra fortuna». A distanza di vent’anni dal 2 luglio 1993, l’allora sottotenente Gianfranco Paglia ha ricostruito in una intervista a Il Mattino (a firma di Andrea Ferraro) lo scontro a fuoco avvenuto nella battaglia di Mogadiscio in Somalia. Nello scontro con i miliziani, Paglia fu ferito all’emitorace, al midollo e a una coscia mentre, dopo aver salvato alcuni militari feriti, dal mezzo cingolato coordinava l’azione del suo plotone, il «15° Diavoli Neri» del 186° Reggimento di Siena.

Paglia è rimasto paralizzato a 23 anni, ma in quel conflitto a fuoco micidiale morirono il sottotenente Andrea Millevoi, il sergente maggiore Stefano Paolicchi e il soldato di leva Pasquale Baccaro. Elevato anche il numero dei feriti: furono ventidue. Paglia, decorato con la medaglia d’oro al valore militare ha ispirato la fiction “Le Ali”.
Attualmente è tenente colonnello alla Brigata Bersaglieri Garibaldi e neo consigliere del ministro Mauro. La scorsa legislatura è stato anche parlamentare del Pdl e poi di Fli.
Nell’intervista al Mattino Paglia ha ricostruito tutte le sequenze della giornata a Mogadiscio. «Sì. Le gambe non le sentivo più ma a preoccupare i medici era soprattutto il polmone perforato. Dall’Italia fecero arrivare mio zio Salvatore e mio cugino Emilio, si pensava che non ce l’avrei fatta». Reagì con coraggio, nonostante la dolorosa notizia di aver perso l’uso degli arti inferiori.
Essenziale è stato il ruolo della compagna Giovanna, ora sua moglie (una storia d’amore vera, si conoscono dall’età di quattordici anni). E sulle missioni di pace aggiunge: «Spesso se ne parla senza avere l’effettiva conoscenza dello straordinario valore, dello spirito di servizio e dell’umanità che caratterizzano l’operato dei nostri militari, uomini e donne».
Infine un desiderio ancora irrealizzato: «Vorrei tornare a Mogadiscio per deporre una corona sul luogo degli attacchi».
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