L’intervista (di A. Di Mauro). Bovalino: “La Rete sarà nemesi del pensiero unico”

Che il web, e in particolare i social, ricoprano un ruolo decisivo nella conquista del consenso ci sembra un dato ormai acclarato da tempo. Basti pensare al clamoroso fenomeno Cinquestelle, abilmente orchestrato dalla Casaleggio associati, per avere contezza dell’impatto spaventoso che il binomio ipercomunicazione-ipertecnologia ha sulle dinamiche di controllo dell’opinione pubblica.

Ora succede che, inopinatamente, due tra le più potenti piattaforme social esistenti decidono di censurare migliaia di account e pagine politiche legate ad alcune formazioni di Destra (partiti politici regolarmente rappresentati nelle sedi istituzionali come CasaPound Italia e Forza Nuova) perché – fanno sapere gli amministratori delle piattaforme – non sono compatibili con gli standard della Community.

Nel clima di esultanza generale che si respira in molti ambienti della Sinistra italiana c’è chi fa sommessamente notare la gravità di una situazione che va molto al di là degli schieramenti e del banale scontro politico permanente.

Può una decisione che impatta su diritti fondamentali, come la libertà d’espressione, essere delegata  ad algoritmi e società private che decidono unilateralmente chi è buono e chi è cattivo; chi può avere accesso a un diritto e chi invece è censurabile?

Partiamo da qui per un più ampio confronto sui rapporti tra media e potere con il prof. Guerino Nuccio Bovalino, sociologo, scrittore ed autore, tra l’altro, del recente saggio Imagocrazia.

 

Dunque professore. Cosa sta succedendo? Provvedimenti censori che riguardano materie così delicate, a prescindere naturalmente da chi ne sia colpito, non dovrebbero essere affidati  all’autorità pubblica?   

 

Bisogna essere onesti e razionali nel giudicare i fatti. Facebook è una piattaforma privata alla quale ognuno di noi ha “delegato” autonomamente la propria esistenza virtuale, non accorgendosi però che il confine fra vissuto sensoriale ed esperienza virtuale è una pura questione di “spazio” dove agiamo (e ci facciamo agire), ma non una discriminante fra ciò che è reale e cosa non lo è.

È un patto ambiguo con una azienda privata a cui affidiamo le nostre “vite” gratuitamente per ottenere in cambio la possibilità di immergerci nel brodo relazionale e comunitario della Rete. Le conseguenze nefaste di tale rapporto di potere sono ormai esplicite: i nostri dati utilizzati per trarre profitto sono stati l’antipasto, la possibilità di scegliere chi far “sopravvivere” nella sfera virtuale di propria competenza costituisce invece un ulteriore passo verso il perfezionamento di una forma di “autoritarismo dolce’ che il Re Zuckeberg ha da tempo in testa.

 

Una forma di autoritarismo che nella lettura di Mario Parniola – un filosofo non certo riconducibile al Pantheon del sovranismo – diventa totalitarismo puro. Anzi, in un saggio di una quindicina di anni fa lo scrittore piemontese già considerava queste dinamiche della comunicazione globale persino più totalitarie del tradizionale totalitarismo politico. E questo per la loro tendenza a presentarsi come un’ingannevole opportunità di partecipazione democratica che finirebbe per renderebbe gli utenti co-protagonisti inconsapevoli della promozione degli interessi del sistema.

Una sorta di schiavitù su base volontaria, dunque. Sei d’accordo con questa visione?

Il filosofo coreano Byung Chul Han parla di Psicopolitica, ossia della nostra adesione volontaria a una forma di controllo delle nostre vite da parte dei media digitali.

Sono in parte d’accordo, ma sono convinto anche delle potenzialità demistificatrici e libertarie della Rete. Vi sono meandri virtuali dove, infatti, esplodono nuove forme di partecipazione e di critica che hanno avuto un ruolo chiave nella propagazione di un pensiero non allineato.

Vi sono focolai di ribellione che solo la Rete poteva far nascere e mettere in relazione attraverso la dimensione reticolare e comunitaria che le è propria.

 

Infatti, in origine, il web e i social erano stati visti da molti radicali oppositori della globalizzazione – sia di Destra che di Sinistra – come uno spazio di assoluta libertà dove trovare voce e manifestare il dissenso. 

Ora, però, con questa clamorosa ondata censoria come la mettiamo? Si tratta di un cortocircuito mica da poco…

La Rete è nata con scopi militari, poi è diventata il totem dei democratici globalisti che credevano di aver trovato la chiave per uniformare il mondo e creare una comunità globale progressista, infine ci si è ritrovati un ecosistema digitale non controllabile nel quale vige una forma di vita anarchica che trasborda dal senso comune verso dimensioni estetiche, edonistiche e vitalistiche, poco consone al grande progetto “rieducativo” del quale si pensava potesse farsi carico.

Oggi si corre ai ripari, a mio avviso inutilmente, cercando di tamponare gli irregolari che hanno preso forza grazie alla rete.

Ma è come fermare con le mani un’onda.

 

La sensazione è che il potere finanziario e tecnologico globalizzato abbia ormai gettato la maschera e proceda spedito in un disegno planetario di compressione dell’agibilità politica e persino dei diritti fondamentali dei cittadini… 

La fase post-ideologica ha avuto come conseguenza una immersione totale delle dinamiche politiche nel liquido amniotico nel quale viviamo immersi: l’immaginario dei media.

I media classici (giornali e tv) sono stati ben presidiati da coloro che si considerano i detentori della verità, i cantori del “mondo dei migliori”.

La nascita e la conseguente centralità acquisita dalla Rete ha creato un cortocircuito: ha tradito le aspettative di chi credeva si potesse controllare la medesima per continuare a imporre un tipo di pensiero.

La Rete, accolta come lo strumento perfetto per la creazione di una democrazia globale digitale e reticolare, ha invece fornito una piattaforma espressiva a delle forme alternative e non conformi di pensiero politico ed esistenziale. Una nemesi per i teorici del pensiero unico e del politicamente corretto. A tale imperdonabile errore di valutazione, o meglio “errore di sistema”, stanno cercando di rimediare.

Come? Imponendo censure che fra l’altro possono essere facilmente aggirate dagli utilizzatori dei social. La reductio ad unum del mondo e della società mi pare una (terribile) utopia che credo rimarrà tale. Proprio la Rete avrà un ruolo determinante nell’impedire tale progetto insano.

 

E la vecchia politica che fine ha fatto? è ancora in tempo per recuperare una sua centralità nel governo di questi processi cruciali?  

La politica intesa in maniera tradizionale e classica non esiste più. Mi pare adeguato parlare meglio di una sorgente forma di imagocrazia. Con essa intendo un conflitto basato su diversi immaginari ai quali ogni individuo aderisce per interpretare e direzionare il proprio vissuto. Tali immaginari non sono delle semplici idee politiche, valoriali. Sono spazi mentali che abitiamo dove si sublimano desideri, immagini, pulsioni archetipiche. L’immaginario è la dimensione del nostro essere dove il magma indistinto costituito dalle forme dell’industria culturale si intreccia alle forme tradizionali, mitiche ed archetipiche dell’esperienza umana trasfigurate dai nuovi media: è “l’argilla” con la quale costruiamo le nostre identità e le nostre esistenze. Oggi la forza di un leader (o di un movimento politico) risiede nella capacità di utilizzare al meglio tali “immagini del desiderio” alimentate dai media.

Non è la politica che deve ingegnarsi al fine di recuperare la propria centralità, poiché si raggiungerà, come ciclicamente accade, un livello tale di frattura fra esperienza umana concreta e narrazione fake della medesima,  che le “urgenze” intime della vita e la sofferenza reale degli esseri umani ristabiliranno la predominanza del vissuto carnale su ogni forma artificiale di governo e di illusione virtuale.

*da Candido di settembre 2019

Alessio Di Mauro*

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