Cultura (di P. Isotta). “Fernand Cortez”, il primo Grand-Opéra (naturalmente) fu italiano

Spontini, marchigiano di Maiolati, come tutti i conterranei, a cominciare da Pergolesi, studiò musica in uno dei Conservatorî napoletani. Era nato nel 1774; per un breve periodo seguì Ferdinando e Maria Carolina in Sicilia. Ma aveva entro di sé qualcosa di così epico e grandioso che la morente Opera italiana non bastava a contenerlo: Rossini era di là da venire. Ebbe il coraggio di trasferirsi a Parigi, come già aveva fatto Cherubini. Entrò nelle grazie di Giuseppina; meno di quelle di Napoleone. Di gusti passatisti (gli piaceva persino Zingarelli!), è probabile lo infastidisse anche il carattere altero del giovane Maestro, nemico di ogni compromesso. Certo, egli aveva il talento di suscitarsi ovunque nemici. Ma nel 1807, dopo lunga attesa, riuscì a far rappresentare La Vestale. Non saprei dire se essa sia già un Grand-Opéra o ancora una Tragédie Lyrique. Contiene dell’uno è dell’altro genere. Quel che è certo è ch’è l’emblema stesso dello stile neoclassico in musica; e infatti le affinità con Beethoven vi sono numerose e non superficiali. Insieme con l’Anacréon di Cherubini è la più bella Opera neoclassica mai composta.

Il successo fu insperato, immenso: e il capolavoro attirò l’ammirazione successiva di Wagner, Verdi, Berlioz. Ma due anni dopo Gaspare, che fu  anche il primo inventore della moderna direzione d’orchestra, preparò qualcosa di autenticamente rivoluzionario. Il primo Grand-Opéra della storia: hanno un bel cianciare i francesi con La muette de Portici di Auber, ch’è di vent’anni dopo e tante altre cose che non possono esservi paragonate. Robert le Diable di Meyerbeer è del 1831, e porta tutto il segno del cattivo gusto Luigi Filippo.  Il Grand-Opéra è una formula con elementi fissi che vogliono pompose scene di massa, Balletto, grandiosità. L’Opera nacque in Francia sotto Luigi XIV con il fiorentino Lully, ma il Grand-Opéra è cosa tutta italiana: Cherubini, Spontini, Rossini, Donizetti, Verdi. Or un altro carattere assai gradito in questo genere di Opera era l’esotismo. E il Fernand Cortez (sottotitolo: La conquista del Messico) non solo per il luogo ove si svolge, ma per il fatto di contenere musica basata su scale musicali estranee all’europea, è davvero il primo saggio di esotismo. Poi, l’atmosfera barbara e feroce di che è fatta, non s’era ancor vista nella musica.

Ma Spontini non aveva fortuna. Cortez, simbolo di civiltà, i crudeli sacerdoti aztechi autori di sacrifici umani, dovevano simboleggiare Napoleone come portatore di pace, di cultura e religione cristiana, laddove i sacerdoti i fanatici preti spagnuoli che incitavano alla guerriglia contro i francesi. In Spagna, infatti, a Napoleone le cose andarono ancor peggio che in Russia, se possibile. L’argomento divenne inopportuno, a onta del fatto che il Cortez è un capolavoro musicale. Venne tolto dal cartellone dopo poche recite.

Spontini ne riscrisse una seconda, e migliore versione, sotto il tollerante Luigi XVIII, nel 1817. Le parti nuove non sono moltissime: ma rimescolò l’Opera come un mazzo di carte, sì da attribuirvi una coerenza drammatica, e anche musicale, superiore. Tanto più che questo rafforza i richiami tematici della Sinfonia rispetto all’Opera. Io conosco molto bene chi suggerì all’allora soprintendente dell’Opera di Firenze Chiarot la scelta di questo capolavoro ch’egli non aveva mai inteso nominare. Allora costui su wikipedia lesse che il Cortez era stato diretto al San Carlo da Rossini. Fu nel 1820; nella seconda versione. Naturalmente a Firenze andrà in scena fra pochi giorni la prima. Ma il fatto che uno dei giganti della musica italiana torni per una volta alla vita esecutiva aiuta a dimenticare la preferenza e dell’Autore e di Rossini. Questo Cortez fiorentino resterà, speriamo, un avvenimento d’importanza storica.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 23.10.2019

Paolo Isotta*

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