Cultura (di P. Isotta). Al “Bellini” di Catania, uno dei teatri più belli al mondo cade a pezzi

(via Wikipedia)

Non so quanti italiani conoscano Catania. È una delle più belle città del mondo, con quel caratteristico suo barocco in pietra etnea. A volte tale barocco-plateresco si spinge nel delirio (la cappella di Sant’Agata in Cattedrale), altre volte, ossia quasi sempre, è solenne e appena un po’ tortuoso. Le rovine greco-romane sono imponenti e importantissime. Il Castello Aragonese è una meraviglia e possiede anche una discreta pinacoteca. Alcune chiese sono meravigliose, come quella di San Benedetto. Sulla sommità, l’immenso edificio della basilica di San Nicolò l’Arena è la più grande chiesa della Sicilia.

Nell’Ottocento, e soprattutto nella seconda metà, e all’inizio del Novecento, la città aveva una vita culturale straordinaria. I Vicerè di Federico De Roberto sono uno dei capolavori della letteratura europea, di altezza balzachiana o tolstoiana (non dico flaubertiana per la troppa differenza stilistica); e il confronto con il Gattopardo, ch’è l’esatto suo rovescio della medaglia, è interessantissimo.

Ma anche coloro che hanno visitato la città difficilmente sono entrati nel Teatro “Massimo Bellini”. Chi crederebbe che a Catania esista uno dei più bei teatri del mondo? Venne costruito, appunto, nel 1890, l’epoca del rinascimento culturale della città, su imitazione dell’Opéra-Garnier di Parigi: la quale ha, tuttavia, un suo fasto ninivitico funebre insieme e cafone. L’architetto milanese Carlo Sada costruì una sala imponente insieme e graziosa; bellissimi sono gli affreschi dell’architetto Ernesto Bellandi. Foyer e altri luoghi da attraversarsi, come i corridoi, o i palchi, sono del pari elegantissimi.

Su questa meraviglia italiana sono costretto a lanciare un forte grido d’allarme. L’edificio è fatiscente: il tetto è periclitante, le strutture interne sono obsolete, e molte ali dell’edificio sono chiuse perché inagibili e in pericolo. Gli affreschi sono pur essi in pericolo. Proprietario dell’edificio è il Comune (il “Bellini” non è Fondazione ma “Teatro di tradizione”) che, essendo in dissesto, non profonde alcunché.  I costi per il personale (diminuiti da 452 a 250) sono in capo alla Regione. Di esso, gli orchestrali sono 80 e i coristi 60. Fino al 2010 la Regione erogava 22 milioni all’anno.  Poi è andata diminuendo la cifra fino ad arrivare nel 2019 a 1.600. 000 euro.  La legge recita che i bilanci vengano redatti su base triennale.  Per il 2020 la Regione ha previsto di erogare 8.900.000 e per il 21 O, dico zero euro. Questo impedisce di fare il bilancio triennali in pareggio, e il Teatro si trova fuori legge pur essendo adempiente. La spesa minima per il personale è circa 12.000.000  a cui si aggiunge la spesa per le utenze che porta a un totale di circa 13 milioni. Le entrate sono di circa 1.400.000 da parte del Fus ai quali si aggiungono circa 1.200.000 di biglietti e abbonamenti.

Desidero solo ricordare che la spesa media di un allestimento della Scala o del Maggio Musicale Fiorentino è di un milione.

Ma la situazione dei teatri d’Opera è all’incirca la medesima in tutta Italia sotto il profilo del bilancio. Il “Bellini” ha anche buone masse artistiche e svolge una programmazione di livello. Potrà finire così? Potrà il Governo permetterlo? Lo vorrebbe la Comunità Europea, che certo potrebbe erogare un contributo straordinario. Io non so che dire: ma l’Italia ha per ricchezza principale la sua bellezza e la sua tradizione, e ci si sta tutta sbriciolando in mano.

www.paoloisotta.it

*Da Il Fatto Quotidiano del 30.10.2019

 

Paolo Isotta*

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