Il ritratto. Cento anni fa nasceva Muhammad Reza Pahlavi l’ultimo Scià d’Iran

Lo scià Muhammad Reza Pahlavi, 1919-1980, nel 1978

Per le brevi vacanze di fine d’anno di molto tempo fa, nel 1972, decisi con alcuni amici di andare a conoscere (qualcosa) dell’Iran. Non è che un viaggio organizzato di una dozzina di giorni, scendendo in grandi alberghi internazionali, oggi come allora, possa comunicare conoscenze dense, fondamentali, al più sensazioni impressionistiche. A me parve un Paese dinamico, operosamente all’opera per dotarsi di infrastrutture, per occidentalizzarsi e modernizzarsi. Un cantiere sconfinato. Con magnifiche moschee policrome piastrellate ed il Gran Bazar di Teheran zeppo di colori e meraviglie. Un DC-8 Alitalia mi portò da Roma a Teheran, con scalo a Beirut, poi il viaggio proseguì per Isfahan, Shiraz, Persepoli, la fastosa capitale voluta da Dario I, al centro della regione di Fars, iniziata a costruire nel 518 A.C. Già nel 334 a.C., però, Alessandro Magno invase il Regno achemenide, sconfiggendo l’ultimo re persiano Dario III nelle battaglie di Isso e Gaugamela, definitivamente.

Governava l’Iran da ‘despota illuminato’ un sovrano quasi-assoluto, Muhammad Reza Pahlavi (Teheran, 26 ottobre 1919 – Il Cairo, 27 luglio 1980), l’ultimo scià, dal 16 settembre 1941 fino alla Rivoluzione Islamica dell’11 febbraio 1979. Secondo monarca della dinastia Pahlavi. Reza esibiva diversi titoli: Sua Maestà Imperiale, Shahanshah (Re dei Re, Imperatore), Aryamehr (Luce degli Ariani) e Bozorg Arteshtārān (Capo dei Guerrieri). Nato da Reza Pahlavi e dalla sua seconda moglie, Taj al-Moluk, Muhammad Reza era il figlio maggiore di un ufficiale dei cosacchi   divenuto scià, primo della dinastia, ed il terzo dei suoi undici figli, gemello di Ashraf, la potentissima “Pantera Nera” (Teherán, 1919 – Montecarlo, 2016).  Egli proseguìva nello sforzo intrapreso dal padre di accrescere il peso strategico e militare della nazione in campo internazionale con una politica di prestigio, di rievocazione del passato achemenide, culminata nell’imponente cerimonia della sua incoronazione, nelle celebrazioni fastose dei 2500 anni della monarchia persiana, svoltesi nell’antica capitale Persepoli e presso la tomba di Ciro il Grande, e con una politica d’incremento delle spese militari, finanziata dalle cospicue entrate petrolifere.

Ottobre 1967, Palazzo del Golestan, Teheran. Reza Pahlavi, scià dell’Iran, si alza dal ‘Trono del Pavone’, con 27.000 pietre preziose incastonate nell’oro, avanza alcuni passi e bacia il Corano. Seguendo il protocollo, lo scià alza la corona imperiale, con 3.380 pietre preziose, e  se la colloca sul capo, impugnando lo scettro, tra gli evviva dei presenti. Quindi, la consorte Farah Diba s’inginocchia di fronte all’imperatore e viene incoronata a sua volta    con una corona di platino di quasi due chili, colma di gemme preziose – quale imperatrice (sciabanù), la prima donna incoronata negli ultimi 1500 anni di storia persiana. Assiste il piccolo Reza Ciro, l’erede di 6 anni.  Terminata la fastosa cerimonia lo scià, il ‘Re dei Re e Luce degli Ariani’, pronuncia un breve, orgoglioso discorso: ‘Condurrò il mio popolo al rango di nazione avanzata tra tutte quelle del mondo’. La famiglia imperiale lascia il Palazzo su di una carrozza trainata da sei cavalli bianchi di Bulgaria ed è acclamata da una gran folla plaudente. Erano passati 26 anni dal 1941, da quando Muhammad Reza, succeduto al padre ‘kemalista’ per la forzata rinuncia, aveva deciso di rinviare la cerimonia in quanto: ‘Non esiste onore nell’essere Re di un Paese impoverito’.     

Incoronazione dello scià Mohammad Reza, ottobre 1967

Tutto ciò accadeva quando Iran era sinonimo di lusso. In Iran, prima della rivoluzione khomeinista, regnava lo scià tra feste (durante le quali l’imperatore era solito gettare monete d’oro, anche per il piacere un po’ sadico di vedere i suoi ospiti strisciare in ginocchio sul pavimento…), lusso, tirannia, diplomazia. L’Iran era allora agli occhi di molti occidentali epitome 

di opulenza, sfarzo, mondanità. Merito della bella vita dello scià Muhammad Reza Pahlavi, con i suoi viaggi, la villa di Saint-Moritz (nel vicino Grand Hotel egli incontrava anche prostitute accuratamente selezionale, mi confidò un concierge, poi divenuto telefonista in una nostra Ambasciata…), le feste sibaritiche, le sue bellissime mogli. Che rivaleggiavano (almeno Soraya, la principessa dai verdi occhi tristi, ripudiata in quanto sterile, e la giovane Farah Diba) con la popolarità di Grace Kelly. Per la gioia della generazione di mia madre, che divorava rotocalchi, quelle riviste con molte fotografie, con le pagine patinate, lucenti, settimanali femminili o rosa, come allora si diceva, di grandi tirature negli anni ’50 e ’60.

Dalla invocata ‘povertà’ alle grandi visioni, ed infine alla megalomania, il passo non fu lungo. Nel 1971, infatti, lo scià decise di celebrare i 2500 anni dell’Impero Persiano di Ciro il Grande con una complessa serie di cerimonie, e con molti invitati, dal 12 al 16 ottobre.

Era passato poco più di un anno e la ‘Città tendata’ permaneva in tutto la sua sontuosità, sotto il sole freddo dell’inverno persiano, quando io la vidi. Uno spettacolo unico, soprattutto pensando a quanto avevo letto nell’ottobre 1971, ricordando le foto che avidamente mia madre e le sue conoscenti commentavano, scambiandosi le riviste illustrate. Certo, la stampa di sinistra non aveva perso la ghiotta occasione per denunciare “lo sfarzo ed il cattivo gusto” dell’iniziativa, lo spreco per una politica di potenza arrogante, il magnifico banchetto durante il quale – in stridente contraddizione con la nazione musulmana – champagne, whisky, vini di bordeaux e cognac di annate pregiate erano scorsi a fiumi, offendendo i sentimenti popolari… 

Khomeini, pare, lo definì ‘il festival del diavolo’!

Foto dell’autore in Iran

L’intento della celebrazione era quello di glorificare l’antica civiltà e la storia nazionale, per mostrare i suoi progressi contemporanei sotto Muhammad Reza Pahlavi, il restauratore dell’ “Onore della Persia”. Lo zoroastrismo era la religione originaria dell’Iran e prima dell’avvento dell’islamismo la confessione più diffusa in Medio Oriente, ma gradualmente eran rimasti sempre meno fedeli, perseguitati dagli islamici. Nel 1925, quando salì al potere, Reza Pahlavi glorificò invece la loro religione per essere stato il culto dell’antico Impero achemenide, al punto di inserire Ahura Mazdā – il creatore non creato, la divinità suprema dello zoroastrismo – nello stemma nazionale. Una scelta che fu pagata poi a caro prezzo, in quanto da allora considerata un intollerabile insulto dal clero islamico. 

Gli atti commemorativi iniziarono con un omaggio al mausoleo di Ciro il Grande a Pasargadae.  Poi a Naqsh-e Rostam, località a 5 km. da Persepoli, dove si trovano le tombe dei grandi re della dinastia achemenide: Dario I, Serse I, Artaserse I, Dario II. Una quinta incompiuta, potrebbe appartenere ad Artaserse III, che regnò solo due anni, ma è probabile che si tratti di quella di Dario III, ultimo sovrano della dinastia. Le celebrazioni continuarono a Persepoli, dove nel deserto venne costruita, praticamente dal nulla, accanto ad un sito archeologico con antiche rovine, una sorta di città con tanto di oasi artificiali ed eliporto. La ‘Grande Tenda’ accolse, il 14 ottobre 1971, 600 persone per una cena di gala che durò cinque ore. Erano stati invitati oltre cento sovrani, capi di Stato e di governo. Parecchi non andarono e mandarono rappresentanti, come la regina d’Inghilterra, alla quale il Foreign Office sconsigliò di recarsi di persona, in quanto il tutto era definito «undignified and insecure», nonostante le eccezionali misure di sicurezza adottate ed un migliaio di arresti preventivi…

Foto dell’autore in Iran

Tra gli invitati presenti, giunti da ogni angolo del globo, Haile Selassiè, imperatore d’Etiopía; Hussein, re di Giordania; Josip Broz Tito, capo di Stato della Jugoslavia; Emilio Garrastazu Médici, presidente del Brasile; Nicolae Ceausescu, capo di Stato della Romania, Imelda Marcos, potente First Lady delle Filippine, i prìncipi di Spagna, Juan Carlos e Sofia, ed uno stuolo di sovrani detronizzati, di pretendenti al trono della vecchia Europa mescolati a despoti comunisti… Nella parata militare sfilarono migliaia di soldati dell’esercito con ‘uniformi storiche’ (mesi prima era stato ordinato loro che si facessero crescere la barba) e durò parecchie ore. 

“La zona intorno a Persepoli venne disinfestata dai serpenti e altri rettili. La Città tendata fu progettatata dalla Maison Jansen di Parigi, specializzata in arredamenti d’interni, su una superficie di 0,65 km², ispirandosi all’incontro tra Francesco I di Francia e Enrico VIII d’Inghilterra avvenuto nel campo del Drappo d’Oro nel 1520. Vennero realizzate cinquanta ‘tende’ (in effetti degli appartamenti di lusso prefabbricati, ricoperti all’esterno con una tenda in tela secondo la tradizione persiana) disposte a stella intorno ad una fontana centrale, e con un gran numero di alberi, piantati intorno all’accampamento in pieno deserto, ricreando quella che doveva essere l’antica Persepoli. Ogni tenda aveva collegamenti telefonici e telex diretti con il paese dei personaggi ospitati e tutte le celebrazioni vennero trasmesse in mondovisione per mezzo di un collegamento via satellite. La grande ‘Tenda d’onore’ venne progettata per ospitare i dignitari. La Sala dei banchetti era la struttura più grande e misurava 68 x 24 metri. Il sito tendato era circondato da giardini di alberi e altre piante giunte dalla Francia e disposti nelle adiacenze delle rovine di Persepoli. I servizi di ristorazione vennero forniti da Maxim di Parigi, che chiuse il suo ristorante a Parigi per quasi due settimane per approntare il servizio. Il leggendario albergatore Max Blouet decise di rientrare dal pensionamento per supervisionare il banchetto. Lanvin disegnò le divise della servitù della famiglia imperiale. 250 limousine rosse Mercedes-Benz furono utilizzate per portare gli ospiti dall’aeroporto di Shiraz a Persepoli.Le stoviglie furono create, per l’occasione, dalla manifattura di Limoges e la biancheria da Porthault”.

(https://www.remocontro.it/2015/08/01/cera-una-volta-follie-persiane-dello-scia-nelliran-pre-ayatollah; https://it.wikipedia.org/wiki/Celebrazione_dei_2500_anni_dell%27Impero_Persiano).

Per capire la psicologia dello scià Reza Pahlavi, un uomo determinato, freddo, controllato, poco cordiale, ivi compresi gli errori che lo porteranno alla caduta, è necessario volgere lo sguardo alla vicenda del padre Reza Pahlavi, chiamato Reza Scià il Grande dopo la sua morte.

Nato ad Alasht il 15 marzo 1878 (e deceduto a Johannesburg il 26 luglio 1944) figlio del maggiore dell’esercito Abbas Ali Khan e di Noushafarin Ayromlou. Sua madre era un’immigrata musulmana della Georgia. Quando Rezā raggiunse i 16 anni di età, entrò nella brigata persiana dei cosacchi. Nel 1915 venne promosso colonnello. Divenne in seguito generale di brigata al comando della brigata cosacca di cui era membro e fu l’ultimo ufficiale a ricoprire questa carica. Alla fine della prima guerra mondiale, la Persia attraversava una fase di profonda crisi economica ed estrema debolezza politica. Nel 1919 i britannici tentarono di formalizzare un protettorato tramite l’Accordo Anglo-Persiano, che tuttavia non entrò mai in vigore per le proteste popolari. La Persia risentiva anche gli effetti della rivoluzione bolscevica nel vicino Impero russo. Reza era un comandante militare che era salito nei ranghi della Brigata cosacca, unica unità moderna dell’esercito persiano creata dai russi al tempo degli zar. Dopo la Rivoluzione d’ottobre gli ufficiali russi si ritirarono ed egli assunse il comando della Brigata. Partendo con le sue truppe da Qazvin, 150 chilometri a ovest di Teheran, il generale Reza Khan catturò i punti nevralgici della capitale senza quasi incontrare resistenza e costrinse il governo a dimettersi. Il suo primo incarico fu quello di comandante dell’esercito, che in seguito combinò con quello di ministro della guerra. Sul modello di Mustafa Kemal Atatürk in Turchia, Reza Khan puntava al potere assoluto per poter imporre il suo modello di Stato. Nel 1923 divenne quindi Primo ministro, e subito dopo Ahmad, ultimo scià della dinastia Qajar, fu deposto e lasciò il paese per l’Europa. Il 12 dicembre 1925, il Majles dell’Iran, riunito come Assemblea Costituente, votò l’incoronazione di Reza Khan a nuovo Scià di Persia’.

 Iniziò una nuova era. Suo figlio Muhammad Reza venne proclamato principe ereditario. Anche se, pare, all’inizio Reza Pahlavi non avrebbe voluto convertirsi in re, ma in presidente, dominando totalmente uno Stato laico, occidentalizzandolo, come il suo modello Atatürk:

‘Durante i 16 anni di regno di Reza Scià vennero costruite importanti strade e la ferrovia trans-iraniana, fu introdotto un sistema d’istruzione moderno e fu fondata l’Università di Teheran. Fu riorganizzata l’amministrazione giudiziaria (rifiuto della shari’a, necessità della laurea in giurisprudenza per essere giudice) ed affermata la supremazia dello Stato. Per la prima volta si ebbe un invio sistematico di studenti iraniani in Europa. L’industrializzazione della nazione venne accelerata. I risultati furono grandi, ma per la metà degli anni trenta, lo stile di governo dittatoriale di Reza Scià provocò insoddisfazione in Iran. Durante la sua ascesa al potere si era appoggiato al clero sciita, compiendo anche un simbolico pellegrinaggio sia a Qom, sia nelle città sante di Najaf e Kerbela (in Iraq). Le gerarchie sciite perorarono la sua incoronazione per il timore di derive repubblicane sul modello della Turchia, dove Mustafà Kemal aveva abolito il califfato sunnita ottomano. Divenuto scià, Reza abbandonò, tuttavia, l’alleanza tattica col clero ed avviò varie campagne di modernizzazione e laicizzazione del Paese. Di qui la crescente opposizione da parte del clero militante. Nel 1933 egli si scontrò con i britannici per il rinnovo della concessione petrolifera alla Anglo-Persian Oil Company. Nel 1935 cambia il nome ufficiale del Paese da Persia a Iran e decreta la fine delle autonomie di clan e tribù, generando opposizioni nelle campagne. Nel 1937 firma un patto di amicizia e non-aggressione con Turchia, Irak e Afghanistan, per frenare la crescita dell’influenza britannica. Con la stessa finalità Reza Pahlavi chiama in Iran un gran numero di ingegneri tedeschi ed austriaci per modernizzare l’apparato industriale. Nel 1939 la Germania si era convertita nel principale partner commerciale della nazione mediorientale.Nel 1941, scoppiata la guerra, adducendo il sospetto che lo scià fosse sul procinto di allineare la sua nazione, ricca di petrolio, con la Germania nazista, il Regno Unito e l’Unione Sovietica lanciarono un ultimatum per l’espulsione dei residenti tedeschi e nel 1941 occuparono militarmente l’Iran. Gli anglo-sovietici costrinsero, quindi, il re ad abdicare a favore del figlio, il giovane Mohammad Reza’.

(Cfr. Stefano Beltrame, Mossadeq. L’Iran, il petrolio. Gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica, Rubbettino, 2009; https://it.wikipedia.org/wiki/Reza_Shah_Pahlavi)

Con l’entrata in guerra, gli Stati Uniti giunsero in Iran e dal 1942 gestirono la logistica del ‘corridoio persiano’ per il rifornimento di materiale bellico all’Unione Sovietica. Nel 1943 si tenne la conferenza di Teheran, il primo vertice interalleato tra Roosevelt, Churchill e Stalin. Gli anni dal 1946 al 1953 videro gli Stati Uniti sostituirsi gradualmente agli inglesi nella gestione del Paese. Nel 1946 gli statunitensi aiutarono, ad esempio, i persiani a resistere alle pressioni dei sovietici che occupavano la provincia settentrionale dell’Azerbaigian, esigevano concessioni petrolifere ed appoggiavano i movimenti separatisti del Kurdistan e dell’Azerbaigian. 

“Durante la Guerra fredda gli Stati Uniti avevano bisogno di un alleato nell’area che svolgesse la funzione di ‘poliziotto’ nel Medio Oriente: scelsero l’Iran dello scià, considerato sufficientemente affidabile, che accettò il ruolo, anche se con qualche reticenza. Quando Mohammad Reza compì 11 anni, il padre aveva deciso di iscriverlo presso l’Istituto Le Rosey, un prestigioso collegio privato svizzero, per continuare gli studi. Muhammad Reza fu il primo principe iraniano erede al trono ad aver svolto parte della formazione scolastica in Europa. In Svizzera rimase per i successivi quattro anni prima di tornare in Iran per l’ingresso all’Accademia Militare di Teheran. L’alleanza con gli Stati Uniti divenne totale nel 1953, quando lo scià riprese il controllo del paese con un colpo di stato contro il governo eletto del nazionalista Muhammed Mossadeq. Mentre lo scià era fuggito a Roma, ci fu infatti a Teheran un colpo di Stato militare, sostenuto da una parte del clero sciita e con l’appoggio decisivo della CIA e dell’M16 britannico (Operazione Ajax). Il Primo Ministro fu rovesciato e Muhammed Reza tornò in Iran. L’esercito si schierò con gli insorti, eliminando i pochi reparti fedeli al governo legittimo. Mossadeq fu costretto al confino. Intanto l’Iran si affermò come gran produttore di petrolio: la vendita del greggio gli permise di comprare molte armi, principalmente dagli Stati Uniti, e trasformare le Forze Armate nell’esercito più forte del Medio Oriente. Reza Palhavi, sovrano costituzionale dell’Iran, riprese la politica di modernizzazione del paese che era stata iniziata dal padre e, interrotta la linea di moderatismo degli anni precedenti, cominciò ad operare una stretta autoritaria. Nel 1955 sottoscrisse il Patto di Bagdad, che inserì l’Iran nell’area politica delle potenze occidentali. Grazie alla ricchezza petrolifera, la modernizzazione e lo sviluppo economico, messi in atto con decisione a partire dal 1962, furono possibili la riforma agraria,  la creazione di varie imprese (con spinta all’inurbamento), la partecipazione agli utili degli operai, il suffragio femminile ed il diritto al divorzio, l’incentivo all’alfabetizzazione”. 

Dal 1963 al ’79 fu attuata la cosiddetta “rivoluzione bianca”: un programma di riforme, suggerite inizialmente dall’Amministrazione statunitense di John F. Kennedy, per “anticipare” le spinte di cambiamento che avrebbero potuto far guadagnare consensi all’opposizione comunista. Tra il fronte di rivolta alle riforme pahlavidi, soprattutto per la loro impronta giurisdizionalista, si schierò il clero, perché veniva privato di benefici, così come la riforma agraria espropriò molti beni controllati dalle gerarchie sciite. Numerosi esponenti religiosi furono costretti all’esilio. 

“Nel 1963 l’Ayatollah Khomeini organizzò una congiura contro lo scià, il quale ne decretò l’esilio (data  la popolarità del personaggio), che lo condusse dapprima a Najaf in Iraq poi a Parigi. Sul versante interno lo scià  proseguì con l’accentramento del potere nelle mani della monarchia ed acuì il carattere dispotico del potere, esautorando il parlamento. Attraverso la SAVAK, l’Organizzazione nazionale per la sicurezza e l’informazione, egli  represse ogni tipo di opposizione. Sul fronte esterno, cercò di intessere relazioni cordiali e di presentarsi al mondo come un ‘monarca illuminato’, attraverso una decisa campagna di promozione personale, concedendo interviste a quotidiani di tutto il mondo e curando assai la propria immagine pubblica. Anche il suo atteggiamento conciliante verso Israele ed in parte anti-arabo (anche se rivolto contro i sunniti) era però malsopportato dagli islamici nazionalisti. Durante gli anni settanta la protesta dei movimenti giovanili coinvolse giovani iraniani di classe alta, inviati a perfezionarsi in Europa, i quali parteciparono alle rivolte studentesche del ’68 e degli anni seguenti, chiedendo delle riforme democratiche anche per il loro Paese. Lo scià stipulò, negli anni, vari accordi con le cosiddette Sette sorelle e l’ENI di Enrico Mattei ed Eugenio Cefis, titolari delle concessioni e degli impianti di estrazione del petrolio, per cui il 25 % dei proventi petroliferi andavano agli stranieri, mentre il 75 % rimaneva in mano iraniana, ma nonostante ciò il clero sciita e gli oppositori lo accusavano di aver svenduto l’Iran agli americani, i cui 50.000 cittadini risiedenti sul territorio godevano anche di status legale-diplomatico speciale, nonché di intascare egli stesso gran parte della ricchezza. Quando Muhammad Reza, il 31 dicembre 1977, festeggiò con il presidente statunitense Jimmy Carter il Capodanno del 1978, con Carter che brindò con lo champagne alla salute dello scià, questo fu considerato intollerabile dai musulmani radicali, già in gran fermento”. 

(https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Reza_Pahlavi; Ryszard Kapuściński, Shah-in-shah, Milano, 

Feltrinelli, 2001; https://www.ilpost.it/2019/01/16/quarantanni-fa-lultimo-scia-fuggiva-dalliran).

Tuttavia, il ‘grande accordo’ dell’ENI di Enrico Mattei con l’Iran, nonostante molto impegno da parte italiana, e la simpatia dello scià per Mattei, non andò mai in porto, pare per la contrarietà delle grandi imprese petrolifere internazionali anglo-americane. Una storia, quella di Mattei, ancora piena di misteri.  (Cfr. Francesco De Leo, L’ultimo Scià d’Iran, con prefazione di Giordano Bruno Guerri e una conversazione con Farah Diba Pahlavi, Milano, Guerini e Associati, 2019).

Archivio Storico Eni. Enrico Mattei stringe la mano allo scià di Persia Reza Pahlavi

Repressioni, torture, vessazioni, detenzioni erano il destino di molti oppositori dello scià, considerati quali traditori. Ma alla pari di quanto facevano, o fecero poi, i Nasser, Sadat, Mubarak, in Egitto, o i Saddam, Assad ed in genere tutti governanti autocrati di quella parte di mondo… Nel corso del loro regno, i Pahlavi avevano tentato di limitare il ruolo della religione nel Paese, anche in maniera autoritaria. Nel gennaio del 1936, per esempio, Reza Shah padre impose il divieto per le donne di girare con il velo nei luoghi pubblici, una pratica che aveva radici tradizionali profonde: il decreto incontrò una forte opposizione tra i religiosi sciiti e diverse donne per molti mesi si rifiutarono di uscire di casa per timore di mostrarsi senza velo. Anche il figlio attuò una serie di riforme che dovevano contribuire a modernizzare il paese, ma attirarono il malcontento di non pochi iraniani contro lo scià ed il suo regime autoritario. Alimentarono, viceversa, la lotta contro la corruzione del regime monarchico. Alla fine, l’opposizione di sinistra ed il ceto colto, cosmopolita, liberal si allearono, curiosamente, con l’oscurantismo religioso ed intollerante, contro la monarchia. Il messianico “Khomeini aprì la porta dell’Inferno”, per usare l’espressione di Farah Diba, la vedova di Reza Pahlavi. 

Fra il 1967 ed il 1973 aveva visto la luce la Husayniyya Irshadun, un’ università informale che voleva rivitalizzare lo sciismo. Khomeini (Jomein, 24 settembre 1902 ​- Teherán, 3 giugno   1989) nella sua opera Il governo islamico (Il governo islamico. O l’autorità spirituale del giuriconsulto, con prefazione di Franco Cardini, Rimini, Il Cerchio, 2007) affermerà che i mullah avevano il dovere di ribellarsi contro gli abusi della monarchia. Durante gli anni settanta la reazione a questa proposta condusse ad un inasprimento del regime. In quelle condizioni politiche la scintilla della rivoluzione scaturì da una dimostrazione di studenti religiosi a Qom contro un assassinio attribuito alla Savak. La polizia sparò ed uccise alcuni dimostranti; le proteste si incrementarono e ripeterono ogni quaranta giorni, con recite sulle pubbliche piazze di poesie dei principali poeti persiani classici: un sottile e colto richiamo all’orgoglio nazionale che affascinò un numero enorme di cittadini poco politicizzati. Nel mese di muharram (autunno 1978) a dimostrare apertamente contro il governo erano già milioni di persone.

Nel 1976 ebbe altresì iniziò una crisi economica – da qualche anno la situazione conflittuale tra Israele, Egitto e Siria e la politica dell’OPEC avevano rallentato la produzione del greggio – con alti livelli di disoccupazione ed inflazione, ma essa non fu il motivo principale della rivoluzione. Dal maggio del 1977 iniziarono le proteste degli intellettuali a cui si aggiunsero quelle dei religiosi. L’ayatollah Ruhollah Khomeini (ayatollah, letteralmente “segno di Dio”, è un titolo di grado elevato del clero sciita) si trovava, come detto, in esilio a Parigi: nonostante egli non fosse uno dei religiosi più autorevoli dal punto di vista dottrinario, fu l’esponente del clero che combatté la battaglia politica più dura e decisa contro lo scià, di cui chiedeva la deposizione. Verso la fine del 1978, Muhammed Reza tentò di avviare un dialogo con le forze di opposizione per evitare che la situazione precipitasse del tutto, e nominò Shapur Bakhtiar Primo Ministro, come concessione. Sebbene ciò gli causasse l’espulsione dal Fronte Nazionale, Bakhtiar accettò in quanto sperava di indirizzare la rivolta guidata dai comunisti e dai mullah verso l’instaurazione di una repubblica liberale di tipo occidentale. Non era quello che volevano i religiosi e pagherà con la sua propria vita. Bakhtiar voleva indire libere elezioni e pose come condizione la partenza dello scià. Per il momento non si toccava un problema spinoso. Per decenni le casse dello Stato e della dinastia non erano state differenziate…Enormi erano i depositi in banche svizzere ed americane.

Il 16 gennaio 1979 uno smagrito ed invecchiato Reza Pahlavi fuggì da Teheran assieme alla famiglia a bordo del ‘Boeing 727’ da egli stesso pilotado, dirigendosi ad Assuan, in Egitto. Nessuna abdicazione: ufficialmente egli era stanco e lasciava l’Iran per brevi vacanze… Le vie e piazze di Teheran e di altre città furono invase da una moltitudine giubilante. L’allegria sfrenata contagiava le donne che, in preda ad una sorta di esaltato delirio, ballavano come possedute, spesso perdendo il velo, il famoso chador diventato allora, paradossalmente, un simbolo di libertà…Migliaia di giovani tagliavano con le forbici l’effige dello scià dalle banconote, festeggiando rumorosamente, mentre i mullah ringraziavano Allah dai minareti delle moschee. La rivoluzione in atto da mesi era furiosamente antimonarchica, antioccidentale. L’Esercito rimase impassibile, osservando. Il vecchio Imam Komeini (come era conosciuto in Iran) dava gli ultimi tocchi al suo progetto di Repubblica Islamica. L’Amministrazione del Presidente Carter, con la sua ossessione per i ‘diritti umani’, aveva dato a Reza Pahlavi il bacio della morte…

Ritorno dell’Ayatollah Khomeini a Teheran, 11.2.1979

La repressione e la morte hanno avuto in Iran una valenza diversa rispetto al resto del mondo. Ciò contribuisce a spiegare le dimensioni della gigantesca e prolungata protesta popolare, in parte irrazionale, al di là di ogni repressione o tentata conciliazione governativa posta in essere.

Maometto morì senza una discendenza maschile nel 632 d.C. La sua morte scatenò un’aspra lotta di potere tra i suoi seguaci. I discepoli del genero del Profeta, Alì, ritenevano che gli unici legittimati ad esercitare il potere fosse la “Gente della Casa” (la famiglia del Profeta), e che dunque Alì, sulla base delle indicazioni fornite dallo stesso Maometto, fosse l’unico successore legittimo. Il termine sciismo viene da shīʿat ʿAlī, il partito di Alì. Essi sostenevano che il ruolo di Imam (guida religiosa) e Califfo (autorità politica) dovessero cumularsi in un’unica persona. La battaglia di Kerbelāʾ, del 680, segnerà la definitiva rottura tra gli alidi ed il resto della comunità, che più avanti prenderà il nome di Ahl al-Sunna (consuetudine, da cui sunniti). Il destino tragico di al-Ḥusayn, figlio di Alì, a sua volta già assassinato, scosse le coscienze ed accrebbe la determinazione a lottare per l’ideale di un potere giusto e rispettoso dei principi fondamentali dell’Islam originario. Il martirio divenne il simbolo della lotta contro l’ingiustizia. Il senso dello sciismo è in questo massacro e quindi nel culto dei martiri. Per gli sciiti, gli Imam sono le guide, i custodi del Libro. La loro legittimità non deriverebbe dalla discendenza carnale dal Profeta, ma dalla loro eredità spirituale; essi ebbero una conoscenza del significato del Corano e ne spiegarono il senso esoterico (bātin) ai fedeli. Lo sciismo è la corrente più esoterica dell’Islam. Gli sciiti duodecimani – ovvero coloro che riconoscono una successione ininterrotta di dodici Imam – da quel momento accettarono passivamente l’ordine politico stabilito, nell’attesa della parusia del loro ultimo Imam che, alla fine dei tempi, tornerà a manifestarsi ed a ristabilire la giustizia in Terra. Una sorta di Apocalisse islamico. In questa attesa, nessun potere politico è pienamente legittimo. La Rivoluzione Islamica del 1979 ha in parte modificato questo atteggiamento, stabilendo il potere del giurisperito, ove spicca la figura della Guida Suprema (rahbar), coadiuvato da alcune istituzioni di mullah, che cerca di creare e gestire una società islamica quanto più giusta possibile e preparare le condizioni per il ritorno dell’ultimo Imam. (Cfr. Henri Laoust, Gli scismi nell’islam, Genova, 1990; https://it.wikipedia.org/wiki/Sciismo).

Lo scià era già afflitto da una grave forma di cancro linfatico.  Dopo soggiorni brevi in Marocco, Bahamas, Messico, Panama, in ottobre gli fu finalmente concesso l’ingresso negli Stati Uniti per essere curato. Ma in seguito alla “crisi degli ostaggi” – quando 52 dipendenti dell’Ambasciata statunitense furono presi e tenuti in ostaggio dai rivoluzionari khomeinisti per 444 giorni, dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, chiedendo la ‘restituzione’ della coppia imperiale per processarla – al deposto scià, completamente abbandonato, fu imposto di lasciare gli Stati Uniti; per rifugiarsi in Egitto, l’unico paese che si dichiarò disposto a ospitarlo. Lì morì il 27 luglio 1980, per complicazioni del tumore affine al linfoma, la macroglobulinemia di Waldenström, di cui soffriva da anni. Benché di confessione sciita, la salma venne inumata al Cairo nella moschea sunnita di al-Rifāʿī.

Nel frattempo l’Iran era diventato una teocratica Repubblica Islamica, dove ‘Cesare e Dio’ sono una cosa sola, come dopo la morte del Profeta, e l’ayatollah Ruhollah Khomeini, tornato nel paese meno di un mese dopo la partenza dello scià, era stato assunto a ‘Guida Suprema’ della nazione. L’affermazione della dinastia Safavide nel 1501 promosse, infatti, uno dei rami dell’Islam (lo sciismo duodecimano) come religione ufficiale dell’impero, segnando un punto cruciale nella storia della Persia e del mondo islamico. Lo sciismo, maggioritario in Iran, è il principale ramo minoritario dell’Islam (intorno al 15% degli 1,8 miliardi di musulmani nel mondo). È articolato in tre filoni: ismailita (la branca maggiore è costituita dai Nizaritii, che riconoscono come Imam l’Aga Khan), zaydita (nello Yemen), duodecimano o imamita. 

L’ideologia del governo rivoluzionario iraniano del 1979 è nazionalista e, soprattutto, sciita islamica. La sua costituzione si basa sul concetto di velayat-e faqih, l’idea avanzata da Khomeini, che i musulmani richiedano e necessitino “tutela”, sotto forma di controllo da parte del leader o dei giuristi islamici. Khomeini ha servito questo ruolo da giurista, o capo supremo, fino alla sua morte, nel 1989. Reintrodusse la pena di morte per l’adulterio e la bestemmia ed impose l’obbligo del velo muliebre. Il partito monarchico ed in seguito i comunisti furono messi fuori legge. La rapida modernizzazione dell’Iran verso l’economia capitalistica è stata da allora in parte interrotta, in parte sostituita da politiche economiche e culturali populiste e cosiddette ‘islamiche’. Molte industrie sono state nazionalizzate, le leggi e le scuole islamizzate, le influenze occidentali vietate. 

Una coltre spessa di fanatismo ed intolleranza ha avvolto quella nazione. La rivoluzione islamica ha avuto un grande impatto. Nel mondo non musulmano essa ha cambiato l’immagine dell’Islam, generando da un lato interesse per la politica e la spiritualità musulmana, dall’altro   paura e diffidenza verso l’Islam ed in particolare verso la Repubblica Islamica dell’Iran, accusata di praticare una spietata oppressione, di eliminare migliaia di oppositori, di finanziare il terrorismo. 

Mohammad Reza Pahlavi si sposò tre volte. Le sue mogli furono:

A)Regina consorte Fawzia d’Egitto (5 novembre 1921 – 2 luglio 2013), figlia di Fuad I d’Egitto e 

sorella di Faruk I d’Egitto, sposata il 15 marzo 1939. Divorziarono dieci anni dopo ed ebbero un’unica figlia: 

la principessa Shahnaz Pahlavi (27 ottobre 1940). Una delle donne più belle del mondo; nel 1942 apparve 

sulla copertina della rivista Life, fotografata da Cecil Beaton, e soprannominata la ‘Venere d’Asia’.

B)Regina consorte Soraya Esfandiary Bakhtiari (22 giugno 1932 – 25 ottobre 2001), figlia di un importante membro della tribù dei Bakhtiyari (Farsan) sposata in seconde nozze il 12 febbraio 1951, la quale non riuscì a dargli un erede al trono, per cui la coppia si separò. Per effetto della legge salica, che esclude le donne dalla successione reale, lo scià dovette ripudiare Soraya, della quale, pare, fosse ancora innamorato. 

C)Imperatrice consorte, sciabanù, Farah Diba (14 ottobre 1938), figlia di un capitano dell’esercito 

imperiale, sposata dallo scià il 21 dicembre 1959, e che gli dette due figli e due figlie:

a)Principe ereditario Reza Ciro Pahlavi (31 ottobre 1960); è, per i monarchici iraniani, il principe ereditario e pretendente al trono dell’Iran. Ha tre figlie, Noor, Iman e Farah.

b)Principessa Farahnaz Pahlavi (12 marzo 1963). Nubile;

c)Principe Ali-Reza Pahlavi (28 aprile 1966 – 4 gennaio 2011). Morto suicida. Una figlia postuma, Iryana Leila;

d)Principessa Leila Pahlavi (27 marzo 1970 – 10 giugno 2001). Morta presumibilmente suicida per ingestione di barbiturici. 

(cfr. https://www.juragentium.org/topics/islam/it/iran.htm; Marcella Emiliani, Marco Ranuzzi De’ Bianchi, Erika Atzori, Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran, Odoya, 2008; it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_iraniana; https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Reza_Pahlavi;

https://www.revistavanityfair.es/la-revista/articulos/iran-decada-setente-farah-diba-musa-revista/23177).

Il blog ‘Croce Reale. Rinnovamento nella Tradizione’ ha pubblicato lo scorso marzo:

La Famiglia Imperiale dell’Iran ha celebrato il Capodanno persiano di Andrea Carnino.

Da sinistra: la Principessa Yasmine, la figlia Noor, l’Imperatrice Farah, la piccola Iryana Leila,   Reza Ciro, le Principesse Farah e Iman e Raha Didevar. https://www.crocereale.it/la-famiglia-imperiale-delliran-ha-celebrato-il-capodanno-persiano

‘Il 21 marzo 2019 gli iraniani e molti altri popoli dell’Asia, hanno celebrato la festa del Nawrūz che segna l’inizio del nuovo anno. La Famiglia Imperiale della Persia ha festeggiato a casa dell’Imperatrice Farah, negli USA. Si sono riuniti attorno all’Imperatrice per celebrare Nawruz il Principe Reza Ciro Pahlavi, figlio di Farah e Pretendente al Trono, la moglie Yasmine e le Loro figlie: le Principesse Noor, Iman e Farah. Era presente anche la piccola Iryana Leila, figlia del defunto Principe Ali Reza, con la mamma Raha Didevar. La Principessa Imperiale Noor, primogenita di Reza Ciro è stata preparata dal padre e dalla nonna per portare un giorno la Corona’. 

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Gianni Marocco

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