Effemeride. Galileo Chini accademico delle Belle Arti, socialista e poi “fascista ad honorem”

Un’opera di Galineo Chini

EFFEMERIDI – 2 Dicembre 1873 a Firenze nasce Galileo Chini. Non aveva ancora dieci anni quando rimase orfano di entrambi i genitori e passò nella casa dello zio paterno Augusto, restauratore di affreschi e decoratore, il quale seppe riconoscere ben presto nel nipote le doti artistiche e lo iscrisse alla Scuola d’Arte di Firenze. Oltre alla scuola, per il giovane Galileo, ci fu il lavoro “a bottega” nella migliore tradizione artigianale, assieme allo zio impegnato in vari restauri a Firenze e nei dintorni.

A poco più di vent’anni con altri fondò la Manifattura Arte della ceramica, nello spirito dell’artigianato artistico dei Preraffaelliti. Si dedicò anche ai restauri (affreschi in chiese, cappelle private ma anche Palazzi pubblici) alla produzione artigianale con i materiali più disparati, dalla ceramica, al legno, al vetro. I suoi lavori di restauro e le invenzioni neo-medievali attirarono l’attenzione degli architetti impegnati – alla fine dell’Ottocento – nei frettolosi lavori di sventramento del centro storico di Firenze per l’attuazione del piano urbanistico. Gli fu commissionata la documentazione visiva di ciò che era destinato alla distruzione.

Proseguendo gli studi, frequentò la scuola di nudo nell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Poi iniziarono le mostre: Esposizioni Internazionali a Torino, Parigi, Londra. In patria lavorò in sintonia con il Simbolismo, sulla scia di Previati, Segantini, Sartorio, Nomellini.

Alle soglie del nuovo secolo sposò una giovane fiorentina dalla quale ebbe due figli, Isotta ed Eros, la prima destinata a morir giovane e ad esser sepolta nel cimitero dell’Antella, alle porte di Firenze, dove tanti esempi dell’arte di Galielo Chini sono oggi visibili.

Allora, in un tempo ancora fortunato, in pieno fervore artistico nella Firenze dei primi del secolo trovò il suo ambiente ideale; fuori casa furono le partecipazioni alle mostre: la Biennale di Venezia, la Quadriennale di Torino…. e le sue mani lasciarono ovunque i suoi lavori: affreschi (il salone delle feste nell’Hotel La Pace di Montecatini, tabernacoli religiosi, sedi di banche….).

Un’arte pittorica murale, una creazione ceramica tutta luminosa, serena, fatta dei colori della Toscana. Erano lontane le ombre della perdita dei genitori, che ritorneranno nella disperazione degli ultimi anni di vita.

Nel 1908 iniziò anche l’attività di insegnante all’Accademia di Belle Arti di Roma, interrotta per un lungo viaggio a Bangkok, invitato dal re del Siam per una serie di affreschi in loco, tra i quali la Sala del Trono. Tornò a Firenze nel 1913 e, di lì a poco, nella sua città ottenne la cattedra di Ornato nell’Accademia di Belle Arti.

Dopo la Grande guerra si dedicò ad una serie di lavori che avevano per tema l’eroismo in combattimento, l’arditismo, gli aviatori…. ma senza la retorica patriottica, i suoi lavori come la “Sepoltura dell’eroe” del 1919 si affiancarono a quelli del dolore della comunità per la perdita dei suoi figli. Negli anni Venti coniugò il suo stile Liberty con l’arte sacra nelle decorazioni di vari conventi francescani e benedettini, a Fiesole, a Borgo San Lorenzo, a Montecassino, a Roma.

Durante il Regime fascista, nonostante la sua posizione politicamente defilata ma ormai, da ex socialista divenuto “fascista ad honorem“, ebbe gli incarichi della decorazione del Padiglione toscano nell’ambito della Mostra del Decennale della Rivoluzione Fascista e il monumentale ciclo pittorico nel salone delle riunioni nella Casa del Contadino a Bologna sede della Confederazione fascista lavoratori dell’Agricoltura (dal 1945, cambio d’uso, assegnata alla CGIL di Bologna per una delle sue sedi). Nel 1933 partecipò alla Mostra del Sindacato Nazionale Fascista delle Belle Arti a Firenze e nel 1938 a quella di Arte Sacra, sempre nella sua città. Nel mezzo, affreschi e decorazioni in Versilia, a Napoli, la decorazione del Caffé Doney a Firenze…. un lavoro dietro l’altro, infaticabile.

Nel 1938 pagò con la perdita dell’incarico accademico la sua franchezza nell’esternare alle autorità cittadine il suo parere estetico – giudicato eccessivo – sull’addobbo di Firenze in occasione della visita di Adolf Hitler alla città. Sulla visita di Hitler e sugli addobbi della città in quella occasione, torneremo in una prossima “effemeride” anche a commento della bella mostra che il Comune di Firenze gli dedicò anni fa.

Durante la guerra, Chini partecipò anche alla Mostra d’arte a beneficio delle Forze Armate. Un suo importante quadro – dal titolo significativo: “Il tradito“, è ancora oggi esposto nella Casa del Mutilato ospitata nel complesso del monastero di Santa Maria degli Angeli, alla Rotonda del Brunelleschi a Firenze.

Nell’immediato dopoguerra il dolore più grande, la morte della figlia Isotta per la quale decorò la Cappella nel Cimitero dell’Antella, un cimitero dove aveva iniziato anni prima ad affrescare cappelle e dove restano bellissime sue opere come la Cupola centrale, ma anche vetrate, mosaici, vasi per fiori….

Poi, i primi anni ’50 con la fine delle sue gioiose, luminose creazioni artistiche, sprofondato nella solitudine, nel distacco dal mondo, aggravato da una progressiva cecità e pervaso da nero pessimismo per le distruzioni private e per quelle pubbliche, anche quelle della natura – come l’alluvione del Polesine del 1951 – che colpirono irrimediabilmente la sua sensibilità.

Morì nel suo studio – quello sì rimasto luminoso – di via del Ghirlandaio a Firenze, nell’agosto 1956.

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Amerino Griffini

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