Calcio. L’ennesimo Pallone d’Oro a Messi. Ovvero sulla senilità del calcio

Messi nelle sei cerimonie per il Pallone d’oro

Non sarà la nostalgia a salvare il “Fútbol”, amato da Osvaldo Soriano. Il Pallone d’Oro assegnato – per la sesta volta! – all’argentino Leo Messi rappresenta la mutazione genetica di uno sport o, se preferite, racconta la senilità del calcio.

Il pallone non rotola più in mezzo a un campo ma rimbalza tra fatturati e diritti tv. Non lo scopriamo né noi né tantomeno oggi. Il problema, semmai, è che si continua a raccontare il calcio come uno sport quando, invece, è diventato un affare globale. Che deve rispettare regole che il marchese De Coubertin, molto probabilmente, non avrebbe approvato.

I riconoscimenti, nel calcio moderno, sono fondamentali. Quasi quanto i diritti tv. Perché se viene meno un trofeo, una targa, un premio, se si finisce a zero tituli rischiano di venir meno le prospettive di un’impresa commerciale globale. Chiedetelo ai cassieri del Milan cosa succede se manchi, per anni, dalle massime competizioni continentali. Non importa chi tu sia stato in passato, perché la massa dei tifosi che acquistano, siano partite in streaming e in televisione oppure magliette più o meno belle o dozzinali a centinaia di euro, risiedono all’estero. Da qui arrivano introiti giganteschi che consentono alle società di trasformarsi in top club o, se preferite parlar chiaro e italiano, oligopolisti del mercato globale del calcio. Se non vinci, se non hai una storia da raccontare, non hai visibilità e perdi clienti. Quanti tifosi/simpatizzanti del Barcellona conoscete? E quanti ne conoscete, invece, di amici che tengano al Crewe Alexandra?

La Juventus ci ha provato a insediare le spagnole. L’acquisto di Cristiano Ronaldo non aveva altro senso che questo: lanciare la Vecchia Signora tra le squadre più seguite al mondo. CR7 ha accettato e si è illuso di valere, da solo, più del Real Madrid capace, col Barcellona, di trasformare il campionato più scontato del pianeta (la celebratissima Liga) in un affare multimiliardario. La Spagna ha fatto quadrato e il riconoscimento francese è andato all’argentino Messi, storico rivale di Ronaldo, spernacchiando i ragazzi terribili del Liverpool di Klopp.

Le ingiustizie, se ci sono, sono tante ma soltanto se si parte dal presupposto sbagliato e cioé che il calcio sia uno sport dove l’importante è partecipare e non vincere. Perché, in realtà, il pallone non è che un affare come tanti altri. Non sarà la nostalgia, dunque, né la fuga dalla realtà, a salvare il calcio dalla sua avida senilità. Insomma leggete Seneca e vi approccerete con meno sorpresa il calcio moderno.

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Giovanni Vasso

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