Focus. Acca Larentia, il buco vero (di vergogna) della giustizia italiana

Una foto della Questura di Roma dei luoghi della strage dei patrioti nella sezione Msi del Tuscolano

Il 7 gennaio è il giorno della vergogna della giustizia italiana. Gli assassini di via Acca Larenzia, quelli ancora vivi, circolano impuniti per le strade di Roma. Sia quelli di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, sia quello di Stefano Recchioni. Non esistono alibi per giustificare questa inerzia assoluta e molto poco casuale. In modo univoco, collaboratori di giustizia e dissociati hanno indicato nell’area dell’ex Potere Operaio la matrice dell’eccidio. La stessa, guarda caso, che veniva immediatamente intuita dagli investigatori dopo il ritrovamento del volantino di spiegazioni successivo al nastro audioregistrato della rivendicazione. Un volantino che era stato confezionato da un gruppo, operativo almeno dal 1975, che usava nomenclature sempre diverse per rivendicare gli attentati. Se i “pentiti” non specificarono mai i nomi delle persone coinvolte, limitandosi a individuare la precisa matrice dell’eccidio, è perchè le inchieste sugli omicidi dei neofascisti erano considerate di scarso interesse. Ben altra era la moneta di scambio.

Per capirlo basterebbe verificare cosa accadde veramente nel carcere di Paliano. Ciò nonostante, gli elementi per identificare i carnefici del 7 gennaio 1978 erano macroscopici. Un pentito che volle spingersi leggermente oltre, forse perchè colpito in modo particolare da un massacro accaduto in una strada non distante da quella in cui abitava, puntò l’indice sul “biondino” che aveva incontrato nei locali universitari di San Pietro in Vincolo. All’epoca sarebbe bastato davvero poco per individuarlo. Ancora più preziosa fu la deposizione di un testimone oculare del fatto. Una persona che abitava nel piano superiore a quello della sezione missina. E che vide l’ultimo assassino zoppicare vistosamente. All’epoca trovare l’azzoppato sarebbe stato molto semplice. Ma la giustizia italiana fece ancora di peggio. Si chiuse gli occhi dinnanzi la storia indecente della pistola mitragliatrice Skorpion. L’arma del massacro contesta al contrario dal noto cantante e dal commissario di polizia del quartiere Tuscolano, senza che nessuno pagasse il conto delle sue condotte. E la giustizia italiana si chiuse gli occhi dinnanzi anche al terzo omicidio, quello di Stefano Recchioni, commesso davanti a decine di testimoni oculari. E se li chiuse anche per non vedere la presenza – denunciata dallo stesso Sivori, confermata da giovani neofascisti presenti in piazza e dalle perizie balistiche – di un provocatore che sparò (non contro Recchioni ma) contro i carabinieri per indurli a reagire aprendo il fuoco contro i manifestanti. Nessun ha mai pagato per questo bagno di sangue e nessuno pagherà mai. Perchè per la Repubblica italiana esistono morti a cui dedicare all’infinito commissioni parlamentari e morti che invece non contano nulla, quasi fossero invisibile. Sono i martiri degli anni di piombo a cui ci sentiamo legati da un vincolo che non potrà mai spezzarsi. Per Franco, Francesco e Stefano.

Valerio Cutonilli

Valerio Cutonilli su Barbadillo.it

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