Libri. “Tutto per la patria” di Martín Caparrós: tra tango calcio amore e potere

Tango e calcio in Argentina

Un romanzo di sfumature: tra calcio, tango, amore e potere. Buenos Aires anni Trenta del Novecento: in giro si incontrano Jorge Luis Borges, alla radio c’è Carlos Gardel, in campo Bernabé Ferreyra corpo e gol del River Plate, e nei bar, appoggiati alla notte, quelli come Andrés Rivarola, Pibe, un italiano che lo dice a bassa voce, una famiglia alle spalle – madre, ex moglie, figlia e debiti –, il biliardo davanti, un po’ magliaro un po’ scrittore di tanghi ma con vergogna, un traditore, un vigliacco, un uomo che dice sempre la cosa sbagliata alla donna che ama, una voce narrante meravigliosa per le pagine di Martín Caparrós  in “Tutto per la patria” (Einaudi). Al fianco di Rivarola/Pibe – che diventa vittima di ricatti e ricattatore, spia e giustiziere, in un continuo capovolgimento da un capitolo all’altro – c’è una donna di coraggio, sfrontata e anticonvenzionale, Raquel Gleizer, che forse vorrebbe scrivere, forse no, intanto va alle riunioni delle società letteraria e legge e innamora tutti, anche Borges, e diventa la complice delle avventure di Rivarola quando muore l’amica Mercedes: figlia della Baires-bene che non vuole vedere rovinata l’Argentina dalla rozzezza di emigrati, anarchici ed ebrei.

Caparrós diverte molto, disegnando scene e personaggi, stanze e atmosfere come non se ne vedevano da tempo in Italia – dovrebbero leggerlo tutti quelli che scrivono il gialletto col commissario e le finte ossessioni – solo il terribile, gordo, Manuel Cuitiño potrebbe essere un romanzo a parte, pappone prima e padrone del mercato delle vacche dopo, dirigente del River Plate e vero demone della storia, affamato e spietato, che consuma cibo e uomini impartendo lezioni di vita e morte a tutti quelli che ha intorno mentre li tiene stretti tra i suoi tentacoli. È una  ‘novela negra’, con la capacità montalbániana di farci stare una epoca e una città che è una nazione, e poi con maestria riuscire a parlare del passato per dire del presente, inzuppata come è la storia di diffidenza, razzismo insorgente e polizia corrotta al servizio del dittatore di turno, una vera lezione di come si possano compromettere storia e realtà, secondo gli insegnamenti di Rodolfo Walsh (padre del giornalismo argentino) che Caparrós ebbe come caporedattore al giornale “Noticias”. Ma la forza del libro è nella sua credibilità, oltre che nel ritmo, è un gioco vero del gatto che deve prendere il topo, dove il topo è il grande calciatore di quel tempo, anzi il calcio, la sua essenza, dove non c’è mai il pallone, ma un omicidio, della droga, e una corona di ricatti e ingerenze, con in ballo il controllo sociale, oltre il campionato del River. Mai una pagina di noia, ma tormenti amorosi, prese in giro con ironia sottile, coraggio anarchico e sacrifici assurdi, e poi c’è il tango: Rivarola scrive tanghi e agisce inconsapevolmente come il protagonista d’un tango, odia Borges – perché rivale: immaginifico – ma si muove in una logica borgesiana. E forse continua.

[uscito su IL MESSAGGERO]

Marco Ciriello

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