Cinema (di M.Cabona). “1917”: c’è l’orgoglio britannico ma mezzo guerriero e mezza pacifista

1917. Il film di Sam Mendes

Il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti si alleano al Regno Unito, dichiarando guerra all’Impero Germanico. E quel giorno coincide con l’immaginario episodio bellico di ventiquattro ore, condensato nelle due di 1917, il film scritto, prodotto, diretto da Sam Mendes, che sceglie quella data e non un’altra per simboleggiare come americani e britannici un secolo fa fossero uniti contro i tedeschi. Il sottinteso è che, tra non molto tempo, potrebbero esserlo ancora. 

Certi film non nascono per caso. Esempi? Nel giugno 2016 del voto sulla Brexit, già da un mese era in lavorazione Dunkirk di Christopher Nolan, evocante il momento difficile della Gran Bretagna nel giugno 1940. Nell’ottobre 2019 passava per la Festa di Roma un film molto, molto monarchico, Downton Abbey di Michael Engler, derivato dalla omonima serie tv (2010-2015), un’opera destinata a ravvivare la nostalgia dei cittadini britannici per le classi dirigenti del loro Paese nel 1927, cioè in un dopoguerra che stava sfociando in un’anteguerra… 

A questo filone dell’orgoglio nazionale britannico appartiene anche 1917. Per non apparire involontariamente disfattista, il film di Mendes non mostra nessuna delle quotidiane mattanze sulla linea del fronte. Sì, si vedono cadaveri stecchiti. Manca però la strage, specie quella coi gas, che così bene, avendo molti mezzi in meno, Alberto Lattuada rappresentava in Fräulein Doktor. 

A metà tra Salvate il soldato Ryan e War Horse, entrambi di Steven Spielberg, 1917 è un film mezzo guerriero e mezza pacifista. Il resto della poco originale trama risale a Titanic di James Cameron: anche lì, nell’aprile 1912, migliaia di persone realmente morivano, ma, per commuovere il pubblico giovane di quasi un secolo dopo, occorrevano due personaggi immaginari e altrettanto giovani. 

Mendes ha fatto la stessa scelta, centrando il suo film su un ventenne graduato (Dean-Charles Chapman) e un ventenne soldato (George MacKay, comprimario nell’indimenticato Captain Fantastic). Il primo ha un fratello in un reggimento schierato a una decina di miglia, perciò gli viene dato l’incarico di infiltrarsi nelle linee tedesche e avvertire un colonnello, che presidia quel settore, di rinunciare a un attacco disastroso. Il personaggio principale è però il soldato e all’attore che lo interpreta Mendes domanda più fiato per correre che espressività nei rari momenti di dialogo. 

I due divi in cartellone, Colin Firth (il generale che ordina) e Benedict Cumberbatch (il colonnello che deve obbedire) si vedono ben poco: l’uno all’inizio e l’altro alla fine, non avendo scene comuni. Entrambi dicono poche, ma sentite parole di circostanza a commento dei loro ruoli e non paiono fieri dei loro doveri. Neanche questo è molto verosimile. Ma è tutto il film a essere ambizioso e fragile. 

Ammesso che le linee telefoniche da campo fossero tagliate, in quella guerra si ricorreva ancora ampiamente ai piccioni viaggiatori… Comunque i due fanti, approfittando di una ritirata strategica tedesca, diventano maratoneti in un percorso – ecco l’altro riferimento – da videogioco: corrono, saltano, scavalcano, si nascondono, nuotano (c’è perfino una cascata), incontrano pochi camerati e pochissimi nemici, sempre isolati, per lo più di notte, talora immotivatamente feroci 

Passo dopo passo, lo spettatore che li segue dovrebbe dimenticare che i due sono lì per il re e per la patria e non sono involontari, anacronistici operatori umanitari.     (da “Il Messaggero” di giovedì scorso, 23 gennaio)    

*1917**1/2 (Bellico, USA-GB, 119’). Regia di Sam Mendes, con George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Richard Madden, Colin Firth, Benedict Cumberbatch

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Maurizio Cabona

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