Americana/1. Perché mi piace la destra italiana che cerca sponde con il mondo di Trump

Donald Trump

Il dibattito su i rapporti tra area intellettuale patriottica, destre politiche e interlocutori internazionali ha generato una serie di interventi che pubblichiamo come contributo per approfondimenti dedicati ai nostri lettori

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Per natura e formazione avverso ogni forma di imperialismo, ho avversato e avverso ogni forma di sudditanza culturale agli Usa ma l’antiamericanismo non può essere una fissazione geografica, è noto che Mussolini e Roosvelt si ammiravano reciprocamente e ci sono scambi di corrispondenza accertati sulle ricette economiche da intraprendere e che il napoletano Gaetano Filangieri ispirò Benjamin Franklin nello scrivere la Costituzione americana quanto Ferdinando IV di Borbone a riformare la legislazione del Regno delle Due Sicilie. 

Quando io iniziavo a fare politica e fino ad Obama, gli Usa erano i gendarmi del mondo, in un mondo diventato unipolare gli Usa erano diventati una potenza trozkysta, convinta di poter esportare la rivoluzione liberal-democratica in ogni luogo sulla punta dei missili. Erano gli Usa che facevano la guerra in Iraq, che bombardavano l’Afghanistan, che intervenivano ovunque con l’idea che si dovesse esportare la democrazia, che se ne fregavano del Cermis e trattavano tutti come provincia coloniale. 

La musica è definitivamente cambiata con Trump, il nuovo presidente degli Usa, sul quale si sono sprecate le battute da parte dell’intellighenzia liberal e dem, ha vinto le primarie repubblicane e le presidenziali americane contro l’establishment repubblicano, il deep state e tutti i pronostici. 

Trump non è un folle, è un grande imprenditore, un miliardario che ha costruito la sua fortuna proprio sui dogmi economici dell’America liberista della terra delle opportunità ma che ha capito prima di altri che il mondo è cambiato e che ci troviamo avanti al 1989 del sistema liberale, inteso sia come insieme di valori liberal, sia come dogma liberal democratico, sia come sistema liberal capitalista. 

Trump (a differenza dei suoi predecessori) ha detto chiaramente che di tutto ciò che accade fuori dai suoi confini non gliene frega niente, non è interessato ad abbattere dittatori, a regolare e difendere confini altrui, ad imporre una visione del mondo e il modello americano al mondo. Lo ha detto chiaramente agli altri Stati della Nato ma nessuno tranne la Turchia e la Gran Bretagna lo ha veramente capito, lo ha dimostrato con i fatti annunciando il suo disinteresse per la Siria e il missile usato per uccidere un generale Iraniano sembra più un favore fatto all’Iran che un’azione militare vera, comunque sarebbe poca roba rispetto ai suoi predecessori. 

Non solo in politica estera ma anche in politica economica le sue scelte vanno in direzione di un cambio epocale della politica americana e del suo liberismo dogmatico: blocca il TTIP, smantella il NAFTA, mette i dazi sui prodotti che fanno concorrenza alla manifattura americana, minaccia le imprese statunitensi che vogliono delocalizzare e apre trattative singole con gli Stati secondo gli interessi specifici del suo popolo. Prima l’America si trasforma da slogan a fatto politico economico. 

Non da meno è importante il suo impatto culturale: irride le fissazioni ambientaliste di Greta e dei suoi piccoli fan ricordando al mondo che il Presidente degli Usa non prende ordini da una ragazzina (in realtà nessun  uomo politico dovrebbe farlo per rispetto al proprio ruolo) neanche se glielo chiedono tutti gli intellettuali psicodemocratici del mondo, si schiera con la difesa della vita tanto da essere il primo Repubblicano amato dai Cattolici americani, ridicolizza tutte le paturnie politicamente corrette del mondo, alza un muro verso il Messico per bloccare l’immigrazione irregolare ottenendo il plauso della comunità messicana americana e le solite critiche di razzismo di Manhattan e dei suoi ricchi cortigiani, irridendo anche le isterie di chi strappa fogli mentre il Presidente parla.

Senza negare nessuna delle posizioni storiche della destra italiana, anche di quella che contesto’ le guerre in Iraq si può dire che oggi Trump può essere e deve essere un modello ed un riferimento per la destra italiana senza, ovviamente, dimenticare le differenze tra gli Usa e l’Italia anche perché la destra non è mai internazionalista ma declina ogni modello nella realtà nazionale in cui opera. 

In questo contesto mutato, il grande successo della Meloni nel suo incontro con i conservatori americani è anche il riconoscimento della vittoria politica della destra italiana e della sua atipicità rispetto alla destra liberale occidentale e chi da destra critica il viaggio della Meloni negli Usa, il suo incontro con i conservatori americani attardandosi su un antiimperialismo che non ha più ragione di esistere, si comporta come Giovanna Botteri che, vittima di un dogma autoimposto ed autosostenuto, non vede la grande trasformazione degli Usa e continua a credere che vincerà la Clinton con i suoi precetti liberal. 

*avvocato e cda Fondazione Alleanza nazionale

Antonio Tisci*

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